Gherardo Frassa
Camera Obscura

Gherardo Frassa, artista della vita

È strano ricordare Gherardo. Non avrei voluto raccontare queste cose, perché avrei piuttosto preferito scambiare con lui ancora tante esperienze. Ricordo risate, bevute e anche fumate, che però faceva solo lui. Io sono sempre stato un igienista, mentre lui era il Bukowski della Valle Camonica. Gherardo era tutto e il contrario di tutto: sempre spettinato, sempre una sigaretta in bocca, beveva alcolici in bicchieri molto grandi, con del ghiaccio ovviamente molto grande.

L’esperienza con Gherardo è iniziata molti anni fa. Innanzitutto, posso dire che era un amico. E poi era veramente quello che si dice un artista. Un artista maledetto, perché tutto quello che faceva era molto più bello di quello che poi effettivamente rendeva. Si dice da sempre che l’artista maledetto, così come Van Gogh che ne è diventato il simbolo, ha fortuna solo dopo la morte. E proprio come i maledetti Gherardo era bello, piaceva molto alle donne. Oggi, a cinque anni dalla sua scomparsa, lo ricordiamo e ci rendiamo conto di quanto ci manchi.
Era un uomo veramente controcorrente. Se uno l’avesse incontrato, l’avrebbe sempre trovato vestito uguale, con una tuta che ricordava un operaio della FIAT ma era invece una citazione maoista, una giacchetta e dei calzoni blu, delle scarpe nere. I capelli erano sempre molto arruffati. Sui suoi tavoli da lavoro potevi trovare di tutto, mancava solo una pistola. Eppure era un perfezionista, un ossessionato dalla simmetria, una cosa che ci accomunava. A pensarci bene, la simmetria nell’allestimento era l’elemento decisivo per la buona riuscita di una sua mostra.

Gherardo Frassa
Gherardo Frassa e Giorgio Forattini

Mi piace ricordarne il lato umano, oltre a quello artistico e creativo. Con lui ho fatto tante cose, abbiamo fatto tre ristoranti, ma anche un salone della bicicletta. Di tanto in tanto ci sentivamo, perché aveva bisogno di una frase, di uno spunto. Poi sapeva trarre il meglio da quello spunto, riusciva a finalizzare molte volte le cose che io suggerivo soltanto, con una maestria e una capacità indefessa. Una delle cose che mi ha sempre entusiasmato di Gherardo era la sua generosità. In campo artistico sono tutti piuttosto trattenuti, mentre lui al contrario era molto generoso, si complimentava anche troppo per una battuta o uno slogan. Prendeva appunti, segnava tutto. Segnava e tossiva, segnava e beveva, segnava e fumava.
Poter dire cos’ha fatto nella vita Gherardo non è semplice, nella sua lunga carriera di tuttofare. Ha fatto tutto. Ha attraversato credo tutto il mondo dell’arte, essendo una persona molto colta e preparata. Ha lavorato con tanti artisti, di fama nazionale e internazionale, che erano diventati amici suoi. Sono storiche le sue collaborazioni con Bulgari, Altan, Renzo Arbore, Giorgio Forattini, Guido Crepax, Ugo Pratt, Emilio Tadini, Philippe Daverio, Ettore Sottsass, Vittorio Gregotti e tanti altri. Lo conoscevano, lo apprezzavano e lo capivano anche nel suo essere un caos calmo.
Ma è stato anche un grande artista della vita. Viaggiò e visse negli USA da Los Angeles a NYC, dove amava Bowery Street. Ebbe per primo l’idea del vintage americano, riempì di balle la periferia di Milano, si inventò una sua catena di negozi chiamata Surplus che ebbe grande successo. Ma come per tutti i grandi artisti i soldi sono relativi, sono soltanto un mezzo. E spesso questo mezzo ti porta lontano da quelli che sono gli obiettivi, che sono anzitutto non perdere, e poi semmai guadagnare. Quindi la sua vita è stata piena di successi, ma successi che sono stati più gratificanti per gli altri piuttosto che per lui. Pochi sanno infatti che Gherardo, quando allestiva una mostra importante piena di nomi di rilievo, il giorno dell’inaugurazione non c’era. Quello sarebbe stato il momento migliore per farsi bello come allestitore o art director, ma niente da fare, non andava mai alle presentazioni. Non amava farsi indicare, notare, sottolineare. E questa è una grandezza, perché il nostro mestiere è fatto soprattutto di narcisismo, egocentrismo e poi di conseguenza invidia e taccagneria. Le dico tutte, queste caratteristiche, perché io ormai ho una certa età e ho conosciuto tantissime figure che vivono nel mondo dell’arte, nel mondo della televisione ahimè, e queste cose sono componenti decisive per molti dei miei colleghi. Il fatto che lui non fosse mai presente ai vernissage delle sue mostre mi dava la sensazione di un artista vero, che faceva il lavoro per quello che era, cercando di portarlo a casa il più bello possibile, da perfezionista quale era.

Locandina della mostra “Mai dire Mao!”, curata da Gherardo Frassa

Tutti gli volevano bene. Quando si è ammalato, non poteva essere altrimenti, è stato molto doloroso. E so che una donna che in quegli ultimi anni gli stava accanto andò a trovarlo in punto di morte, e ancora a pochi minuti dalla fine di questa vita, per iniziarne spero una più bella, Gherardo riuscì ad essere ancora una volta sarcastico, fintamente cinico. Quando questa signora gli chiese «Mi vuoi bene?» lui fece solo una smorfia, qualcosa di molto simile a un «Mah!». Inimitabile Gherardo.