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La solitudine del pornografo, o, quando ho veramente incontrato Annette Schwarz | 2. La nostalgia di ciò che eravamo

Cosa succede quando si incontra la protagonista di un proprio romanzo? La seconda puntata di un racconto nel quale la finzione e la realtà si incontrano

Dopo la prima puntata, pubblichiamo la seconda parte del racconto firmato da Marco Malvestio, che si domanda cosa accada quando si incontra la protagonista di un proprio romanzo. Dopo aver firmato nel 2021 “Annette” (Wojtek Edizioni), dedicato alla pornostar tedesca Annette Schwarz, l’autore racconta cosa ha provato quando ha effettivamente avuto modo di conoscerla di persona, un incontro che sonda il rapporto tra il desiderio e il reale, tra la scrittura e il mondo.


***


Annette è stato letto da più persone di quante avrei immaginato. In fondo l’editore era piccolo, le sue capacità di distribuzione limitate, l’argomento peregrino, eppure il libro è finito nelle mani di qualche centinaio di persone, e tra queste non solo lettori ordinari, ma anche tanti appassionati di pornografia che sono riusciti a trovare persino questo romanzo improbabile. Quando Annette ha cominciato a condividere la notizia del libro mi hanno scritto dall’America, dal Medio Oriente, dalla Russia, per chiedermi quando sarebbe stato tradotto: per chiedermi se la conoscevo davvero, e com’era lei di persona. Guardavo con un po’ di ribrezzo i profili di questi maschi omega, spesso dedicati quasi esclusivamente al porno e ai suoi parafernali, con foto delle attrici e alle fiere, ma rispondevo sempre. Sentivo che era mio dovere farlo: avevo aspettato tanto che qualcuno potesse rispondere a me se gli avessi rivolto una simile domanda.
Mi hanno contattato poi anche tanti lettori italiani, a vario modo insospettabili, il cui cuore nascondeva un vecchio amore che riconoscevo. Un tale mi ha scritto su Facebook per ringraziarmi e per dirmi che aveva scaricato tutti i video di Annette, e che si era persino messo in cerca per Monaco dei luoghi dove aveva girato le ultime scene – nella location di un video outdoor di lei aveva individuato gli esterni di uno stadio in cui i Rammstein avevano registrato un live, e cose del genere. Un interesse morboso, certo, nel quale non mi rivedevo del tutto, ma che capivo benissimo: c’era poca differenza, in fondo, tra la flânerie libidica di quest’uomo e il mio stesso libro, e ad animare entrambe c’era quella mistura indistinguibile di passione e frustrazione.
La solitudine dei pornofili la conoscevo già, stavo capendo anche quella del pornografo: il sesso va bene farlo in due, è un’intimità accettabile, ma come si fa a pensare davvero di condividere qualcosa di così privato come questa passione tutta mentale, tutta interna a noi? Come si fa a parlarsi davvero quando abbiamo tutti lingue diverse, e ciascuno di noi vuole una cosa differente dal porno, spesso senza nemmeno sapere o osare nominarla? E così interagiamo, noi amanti del porno, ci scambiamo informazioni, pareri, consigli, ma è una comunicazione che non crea legami, che non può nascondere il fatto che davanti all’oggetto del nostro desiderio siamo sempre, inevitabilmente, soli.

annette schwarz

Il giorno prima della presentazione, mentre io e la mia fidanzata stavamo uscendo per un aperitivo con una coppia di amici, la proprietaria della libreria mi ha scritto: Annette è qui, corri! Ci ho messo un attimo a capire che cosa stesse cercando di dirmi – e cioè che Annette era lì di persona, col suo compagno, che aveva voluto farmi una sorpresa ma che aveva sbagliato il giorno della presentazione. Quest’ultima cosa mi aveva salvato, perché se me la fossi trovata il giorno stesso, davanti a tutti, non sarei riuscito ad aprire bocca. Sono corso fino alla libreria, che per fortuna non era lontana da casa, e nel mentre scrivevo ad Annette che stavo arrivando. Una volta lì non c’era traccia di lei: la libraia mi ha detto che erano andati a fare due passi, che ora tornavano. Ero fortunato che l’avesse riconosciuta dietro la mascherina: ma era troppo alta, mi ha detto, troppo distinta per non accorgersi di chi fosse.
Aveva ragione: quando, fuori dalla libreria, scrutando la via pedonale del centro di Padova in attesa dell’apparizione di Annette, l’ho finalmente vista avvicinarsi, mi sono reso conto di cosa intendeva. Annette deve essere alta un metro e ottantasei, forse qualcosa di più (cosa che già sapevo, ma dal vivo sembra molto più alta che in video); essendo diventata un’appassionata di fitness, ha un corpo tornito, sodo, che quella sera risaltava nei leggings e nella pancia leggermente scoperta. Con lei c’era il compagno, un bell’uomo sulla quarantina abbondante, che mi scrutava con leggero sospetto. Appena mi ha visto, Annette mi ha abbracciato, mentre io balbettavo dei saluti, un “benvenuti a Padova”, senza sapere bene cosa dire. Le ho presentato Marta, lei mi ha presentato ***; noi avevamo quell’impegno con i nostri amici, ho detto loro, ma ci avrebbe fatto davvero piacere se si fossero uniti a noi.

La prima cosa che ho notato di Annette è che è molto timida (non è vero: la prima cosa che ho notato, naturalmente, è che dal vivo e vestita casual è bella come in video); Annette ascolta molto, ma quando parla lo fa sempre, come dire, sminuendosi, come se fosse convinta che quello che sta dicendo abbia poca importanza. C’è l’ostacolo linguistico: nonostante il forte accento tedesco, Annette parla un ottimo italiano, e tuttavia si capisce che esprimersi in una lingua che non è la sua in qualche modo le crea disagio, non le permette di essere naturale. Non solo, però; è proprio una forma naturale di modestia, quasi che la imbarazzasse essere al centro dell’attenzione, il che è paradossale, data la natura della sua precedente professione. In una foto che Marta ci ha scattato di nascosto a cena, io parlo (pontifico) di qualcosa, mentre Annette mi sta a sentire, gli occhi già grandi ancora più strabuzzati: sembra davvero attenta a quello che le sto dicendo, addirittura grata che le stia parlando – e potete capire quanto sia inverosimile per me anche solo pensarlo. Il giorno successivo, alla presentazione, quando le chiederò se vorrà dire due parole, mi risponderà quasi spaventata che assolutamente no, lei si vergogna troppo a parlare in pubblico.
Sulla strada per piazza Capitaniato, dove ci aspettano i nostri amici, io, Marta, Annette e *** parliamo del più e del meno. ***, mi rendo conto, è vagamente sospettoso, e del resto ne ha tutte le ragioni; Annette è assediata da mitomani, vecchi e nuovi fan disposti a tutto per avere la sua attenzione, e io potrei benissimo rientrare tra questi. Un poco alla volta, però, sembra tranquillizzarsi e realizzare che non sono uno squilibrato, o perlomeno non del tipo pericoloso; anche il fatto che sia lì con la mia compagna fa la sua parte. Marta, del resto (Marta che già è stata così generosa nel supportarmi prima e dopo la pubblicazione del libro), è sempre molto espansiva e ciarliera, e manda avanti la conversazione, venendo in soccorso a me che continuo a essere stralunato.

annette schwarz

Quando arriviamo, presentiamo la nostra sorpresa ai nostri amici, Luca e Angela, che sono poeti e editori con cui ho collaborato in diverse occasioni e che sono emozionati e divertiti nello scoprire che ho portato loro Annette in the flesh. Quando ci sediamo continuano i convenevoli, ma la conversazione viene subito assorbita da ***, non solo perché è un uomo assertivo e sicuro di sé, a cui piace dilungarsi in spiegazioni, ma perché, ci rivela, fino a qualche anno prima ha lavorato per un grosso editore italiano, e dunque intrattiene Marta, Luca e Angela con una serie di aneddoti sullo stato delle patrie lettere. *** è un uomo piacevole, che ha una certa naturale autorità, e non mi sorprende che Annette lo abbia scelto. Stanno insieme da quattordici anni, mi dice lei; si sono conosciuti sul set di un suo film, dove lui si trovava non ho capito bene se come comparsa o come curioso o per partecipare a una scena di gruppo. Fatico a ricostruire queste circostanze nella mia mente, a sommare le informazioni che ricevo su quest’uomo – manager e frequentatore di set porno? Non riesco nemmeno a immaginare che rapporto abbia *** con la carriera ormai terminata di Annette, quanto la sua esistenza passata lo infastidisca; non dice una parola a proposito del libro, il che mi fa pensare che non abbia troppa voglia di tornarci su. Mentre lo guardo parlare, mi dico che però, se l’ha conosciuta in quelle circostanze, è impossibile che non siano state proprio quelle a esercitare per prime un fascino su di lui, a catturare la sua attenzione. D’altra parte mi chiedo anche cosa provi *** ora che il corpo di Annette, immortalato in centinaia di ore di girato, invecchia (anche se invecchia con grazia), e si fa ogni giorno più dissimile da quello rifratto negli innumerevoli video che hanno contribuito a farlo innamorare. O forse le mie sono solo proiezioni, un tentativo di fare quadrare nei miei schemi mentali un’esperienza e una relazione di cui non so niente.

Io sono combattuto, perché vorrei parlare da solo con Annette, ma non posso nemmeno prenderla sottobraccio e scappare. Per fortuna, proprio il fatto che *** abbia, per puro caso, così tanto da dirsi con Marta, Luca e Angela permette a me e ad Annette di ritagliarci un po’ di spazio nella conversazione. Mi rendo conto che siamo entrambi in imbarazzo, io perché non so come cominciare a parlarle dopo tanto tempo passato a immaginarla, lei perché si sente in debito verso quello che considera il dono che le ho fatto. Tutta la cornice del nostro incontro ha qualcosa di irreale; è come se mi aspettassi in ogni momento di vedere spuntare la candid camera, o che Annette si trasformi nella Fata Madrina e mi proclami finalmente un bambino vero. Un po’ parliamo, però; le chiedo alcune cose che mi ronzavano per la testa, e cioè se sono riuscito a indovinare quei dettagli che ho provato a ricostruire. Annette ride, e mi dice che sono effettivamente riuscito ad azzeccare alcune cose (il rapporto con fratello, per esempio), ma che altre sono un po’ distanti dalla realtà – che però non avevo modo di conoscere. Il ritratto che faccio di John Thompson, per esempio, è molto più roseo di quanto lui non sia in realtà – è un uomo rigido, mi dice Annette, che tende a trattare i performer in maniera brutale, specialmente gli uomini. Mentalmente prendo appunti, anche se non so che fare di questa informazione.

Parlare con Annette significa fare i conti con una stagione del porno che ormai si è conclusa – e anche con una stagione della mia vita. Sono cambiate le interpreti, per esempio. Cody Lane, ve la ricordate? Io me la ricordo. Come potrei non farlo? Dopo anni di problemi con le droghe, di andirivieni nei centri di riabilitazione, dopo avere cercato di aprire e gestire un sito di escort, è tornata in Kentucky col fidanzato e la famiglia. Una vita che ricalca copioni noti: la ragazza di campagna che fallisce il suo sogno nella grande città e torna sconfitta; o al contrario una che ha capito che il sogno era falso e che la vera felicità era lì dove era nata. In ogni caso adesso è morta, l’hanno investita vicino a casa. Sui forum, su Reddit, su 4Chan, viene ricordata con parole crude ma affettuose: era brava, dicono, ma soprattutto aveva quell’aria spaesata, sottilmente infelice, che dava alle sue scene più brutali un certo non so che, un’aggiunta di sentimento che inebriava come una spezia esotica. Forse non è il modo in cui tutti desidereremmo essere ricordati; forse è riduttivo di una vita umana non meno complessa di tutte le altre, non meno ricca di ansie e relazioni, di progetti e aspirazioni, ricordare solo quel quarto d’ora di coito a favore di telecamera in cui una giovane donna magari si stava pentendo delle proprie scelte di vita. Eppure è molto più di quanto la maggior parte di noi riceverà mai dopo la morte in termini di affetto e partecipazione.

La verità è che c’è un milione di domande che vorrei fare ad Annette, ma che non ho il coraggio di porle, date le circostanze: cosa hai provato la prima volta che hai girato? Perché hai smesso di fare porno? Riguardi mai le tue scene? Rimpiangi mai di aver fatto porno? Forse se glielo chiedessi non saprebbe rispondermi davvero, o non saprebbe rispondermi con la precisione e l’eloquenza che vorrei. Mi dice invece delle sue difficoltà col lavoro – nell’ufficio dove stava prima, un cliente l’aveva riconosciuta, e così via; ma ne parla come se fosse una cosa da niente, una seccatura di poco conto e perfettamente ordinaria, quasi si trattasse di un guasto alla macchinetta del caffè. Lei mi chiede se a Marta va bene che io abbia scritto un libro su di lei, se non è gelosa; le rispondo che naturalmente Marta conosce la differenza tra letteratura e realtà, e nel dubbio aggiungo che comunque l’ho scritto prima che ci conoscessimo.
Le chiedo invece della famiglia: se sono in contatto, come vivono il suo passato. Mi risponde che ormai se la sono messa via, ma che le cose tra loro non sono semplicissime. Le dico che anche io vorrei avere il suo coraggio, ma che ci sono tante parti di me che non riesco semplicemente a mostrare alla mia famiglia. Mentre le dico questo, mi rendo conto di una cosa che le dirò soltanto il giorno successivo: che per me, prima che un oggetto del desiderio, Annette è sempre stata un’ispirazione. Avere quel grado di libertà; sentirsi così sicuri di sé, così in pace, da non avere paura di darsi; queste sono cose non scontate a cui ambire nella vita, cose di cui ho sempre sentito e continuo a sentire la mancanza. C’è una forza, in Annette, dietro la modestia e la semplicità, che emana da lei come una luce calda e che rende rigenerante starle vicino. In generale, mi rendo conto che Annette è come l’avevo immaginata: né una maliarda né una bambolona né un’ingenua, ma una persona relativamente normale, coi suoi limiti e i suoi difetti, che ha avuto il coraggio di fare qualcosa che tutti noi ci limitiamo a sognare – o che almeno io sogno da tutta la vita.
Restiamo molto a parlare tutti quanti; più passo il tempo con *** e Annette, più li vorrei come amici. Quando li salutiamo (devono prendere la macchina: dormiranno in albergo e il giorno dopo verranno alla presentazione), io e Marta rimaniamo a parlare con Luca e Angela: comincio a profondermi in scuse per l’imprevisto della serata e per non aver dedicato loro la dovuta attenzione, ma per fortuna sembrano essere stati bene.

annette schwarz

Sulla presentazione in sé non c’è molto da dire. L’unica differenza rispetto ad altre che ho fatto è che nel pubblico, a filmare l’evento come diretta Instagram e a tratti (lo vedevo pure a quella distanza) commuovendosi, c’è Annette. Alla fine mi concedo un colpo di teatro, e dico: ecco, alla faccia di tutte le distinzioni tra arte e vita, tra autore e personaggio, che abbiamo fatto in quest’ultima oretta, ho il piacere di dirvi che Annette è proprio qui tra il pubblico, e lei si alza e agita la mano, balbettando un saluto. Poi qualcuno si fa firmare qualche copia da me, qualcuno da lei, io scrivo una dedica sulla sua e lei mi promette che per la prossima volta che ci vedremo avrà pensato a una da scrivere sulla mia, e ci salutiamo.
Quello che rende questa esperienza così singolare è che io ho conosciuto Annette, prima, solo come personaggio sugli schermi e poi sulle mie pagine: ero impreparato all’evenienza di incontrarla anche nella vita di tutti i giorni. Ho detto di averlo evitato deliberatamente per non nuocere all’effetto del romanzo, per un’incerta fede nella superiorità della letteratura sulla vita, ma a volte mi chiedo se non sia solo una scusa. Forse invece si è trattato solo di timidezza, dell’incapacità di incontrare davvero quella persona su cui avevo tanto elucubrato e che invece il giorno precedente era stata seduta a cena con me, incurante a differenza mia dell’incongruità del nostro essere insieme. Vorrei dire che in qualche modo quello è stato un incontro fatale, che la vera Annette ha spazzato via tutte le mie inutili elucubrazioni da intellettuale; oppure che è stata la realizzazione di una passione durata tutta la vita. La verità è che quell’incontro, come tutti quelli che facciamo nella vita reale, è stato privo di significato e di conseguenze, se paragonato a quelli che avvengono nella nostra immaginazione: conoscere gli altri è impossibile, e in ogni caso non hanno nulla da insegnarci.

Sono rimasto in contatto con Annette. Ci scriviamo e ci siamo rivisti in più occasioni. Una volta è venuta a una presentazione a Brescia e mi ha portato una torta fatta da lei; ho ancora il contenitore da qualche parte in cucina. Non posso dire che siamo diventati confidenti: le sporadiche occasioni in cui siamo insieme sono sempre troppo fugaci, e non siamo mai soli – non possiamo mai parlare a tu per tu, ammesso che lei lo desideri e che io ne sia capace. Il vero ostacolo alla nostra conoscenza però è che per me Annette è sempre come moltiplicata: c’è l’Annette in carne e ossa, sì, ma c’è anche quella dei video, e poi c’è quella che ho inventato nel mio romanzo, e queste tre mie versioni di lei non coincidono. E poi quello che so di lei è fermo a dieci anni fa, forse di più: io non penso di essere la stessa persona che ero dieci anni fa, perché dovrebbe esserlo lei? Vorrei chiederle, per esempio, che vuoto cercasse di riempire col porno prima e con il fitness poi, che tipo di solitudine, che ansia: da cosa scappasse per ritrovarsi così lontana dalla strada che percorriamo tutti. Ma se anche riuscissi a fargliela, a chi starei davvero rivolgendo questa domanda? Ad Annette come persona, o al mio personaggio? E in entrambi i casi, sento che le starei imponendo una trita pseudo-verità romanzesca, come uno sceneggiatore pigro che spiega ogni caratteristica dei personaggi con un trauma nel loro passato.

E poi, con lei, io pure mi duplico: scrivendo queste pagine anni dopo che è uscito il libro mi accorgo di quanto sono cambiato, di come sono sempre più stanco, mentre la barba mi si riempie di peli bianchi che non riesco a nascondere benché provi a conservare un’aria giovanile, ad allenarmi e a farmi tatuaggi, ad andare in università in t-shirt invece che con la giacca; mentre le responsabilità aumentano insieme alla noia, i miei genitori mi sembrano sempre più anziani, e il tempo a mia disposizione si assottiglia. Mi accorgo anche di quanto ero cambiato già quando l’ho scritto rispetto agli anni della mia adolescenza in cui in effetti Annette era un’apparizione, quando si è manifestata per la prima volta nella mia vita dall’altrove insondabile della rete: e immagino quanto sia cambiata Annette stessa. Mi chiedo in che misura quegli anni densi siano rimasti con lei, quanto spesso le cose straordinarie che ha fatto le tornino alla mente, e quanto tempo invece occorra perché comincino a sembrare come se appartenessero alla vita di qualcun altro. Retrospettivamente, mi chiedo se io non abbia voluto scrivere il romanzo per questo motivo: per tornare con la mente proprio agli anni della mia giovinezza, o meglio della giovinezza mia e di Annette, per un malriposto desiderio di essere in un altro luogo che non è nessun luogo, Annette chiusa nello scrigno dello schermo e io davanti a lei in un sogno che non finisce mai. In fondo tutto quello che vogliamo, mentre il nostro cuore si fa più rigido e il sentimento del tempo cala su di noi come la notte su un paese straniero, è tornare a sentire quello che sentivamo quando eravamo giovani.




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