Oltre la Soglia

Se una battaglia sindacale è «brutto carattere». Lo stato del lavoro culturale in Italia



«Lei è intelligente, ma rovina tutto con il suo brutto carattere».
A parlare è il mio datore di lavoro, che si rivolge a me durante l’ultima di una lunga serie di incontri sindacali.
Ho ribattuto che non mi sono mai permessa di giudicare o di fare commenti del genere in ambito professionale, e che quindi mi sarei aspettata altrettanto dal mio datore di lavoro.
Arrivò la sua risposta, perentoria: «Per quanto mi riguarda, con Elisa non parlo più».
Decise così di ignorarmi, rivolgendosi al collega seduto accanto a me: «Stefano, mi aiuti lei a capire questo dato».
Questo episodio a qualcuno potrà sembrare irrilevante, ma non è così. E anche se queste parole sono state pronunciate da una persona specifica, esse sono la traccia, l’impronta, di una modalità in realtà diffusa che sottintende un assunto di base: è il potere che decide i modi, i tempi e le possibilità di esprimersi. E il potere sta da una parte sola.

Ma facciamo un quadro d’insieme. La situazione, cercando di semplificare, è questa: da anni i siti museali nazionali presentano una carenza di personale interno, diventata ormai cronica.
Il Ministero della Cultura ha dato per questo il via all’esternalizzazione del servizio di vigilanza e accoglienza a supporto del personale MiC (quello ministeriale), utilizzando appalti rivolti a cooperative o ditte, che vengono riscritti ogni uno o due anni.
In Lombardia il Ministero opera attraverso la Direzione Regionale Musei Lombardia, e l’ultimo appalto per questo servizio, che ha preso il via nel dicembre 2022, riguardava undici siti in tutta la regione. Luoghi di assoluta rilevanza per il panorama nazionale, tra i quali, per esempio, le Grotte di Catullo di Sirmione, la Certosa di Pavia, la Villa Romana a Desenzano del Garda.
La fortunata vincitrice dell’appalto è stata la ditta COSMOPOL s.p.a. di Avellino, ora COSMOPOL Servizi Integrati, grazie a un ribasso del 33% sull’importo a base d’asta, di 1.718.780,00 euro per 24 mesi. Ditta di cui, nel mese di agosto, è stato disposto il commissariamento dal Gip di Milano su richiesta del PM Paolo Storari per ipotesi di caporalato e stipendi sotto la soglia di povertà.

Faccio parte di un gruppo di lavoratori e lavoratrici esterne interessati proprio da questi appalti: da anni lavoriamo in tre siti museali della Valle Camonica, in provincia di Brescia; due di questi custodiscono parte del primo Sito UNESCO italiano, l’Arte Rupestre di Valle Camonica.
Svolgiamo un servizio di accoglienza, vigilanza e custodia del patrimonio, in alcuni casi a supporto del personale interno, in altri casi in completa autonomia. Siamo partiti quasi dieci anni fa e in questo decennio si sono susseguiti capitolati ministeriali, contratti, vertenze, ditte, cooperative, ogni anno in attesa di capire come sarebbe andata l’anno successivo, con una paga oraria lorda che ha oscillato dai 6,18 ai 5,87 euro, prevista da contratti come il SAFI, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il personale dipendente da imprese esercenti Servizi Ausiliari, Fiduciari e Integrati.
A dicembre scorso COSMOPOL propone, come espresso dal capitolato firmato dalla Direzione Regionale Musei Lombardia, il CCNL Servizi Fiduciari, che al livello D prevede una paga oraria di 5,37 euro lordi l’ora. Da qui la nostra decisione di non firmare i contratti, e quindi di non presentarci al lavoro, e aprire una contrattazione sindacale, costringendo i siti museali alla chiusura, perché senza il personale esterno ormai il patrimonio chiude i battenti.
Dopo giorni di contrattazione si arriva a un’amara conclusione: 6,25 euro lordi l’ora, con contratti che per la maggior parte di noi arrivano ad appena 16 ore di servizio settimanali.
Una cifra che conferma il contratto Servizi Fiduciari come uno dei peggiori in circolazione, dato che, nonostante l’aumento a 6,25 euro, rimane ben al di sotto dei 9/10 euro l’ora attualmente considerati come punto di partenza per l’introduzione del salario minimo in Italia.

A questo va aggiunta la normale amministrazione ministeriale, che possiamo riassumere con: nessuna programmazione stagionale dei turni, richiesta di disponibilità e flessibilità che varia di settimana in settimana, turni mensili comunicati pochi giorni prima, scarsa se non nulla propensione al confronto, scarico di responsabilità sulla ditta quando i temi si fanno scomodi.
In dieci anni, mentre il personale esterno diventava sempre più essenziale per le aperture, il Ministero ha perpetrato una sistematica precarizzazione del nostro servizio. Ma c’è anche un’ultima novità: dal 1 ottobre è arrivata la decisione, dovuta alla mancanza di personale interno, di chiudere il sito più importante, il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane, insieme al Parco Nazionale dei Massi di Cemmo, nel turno pomeridiano, senza alcuna comunicazione preventiva né alla cittadinanza né a noi lavoratori esterni, privati così di 15 turni settimanali di lavoro da un giorno all’altro, e rendendo il parco d’arte rupestre più importante d’Italia sempre più difficile da visitare.

Ho descritto un caso, quello che conosco meglio, ma la situazione potrebbe replicarsi per altre dieci, cento, mille situazioni in Lombardia e in Italia, come denuncia l’Associazione Mi Riconosci?, che da anni si impegna con grande energia a far emergere le condizioni del lavoro culturale in Italia.
Tornando però all’inizio, alle frasi che mi ha rivolto il datore di lavoro, e dopo aver descritto un caso tra tanti, credo che il punto sul quale dovremmo riflettere in quanto operatori culturali sia proprio questo: occorre riprendersi il diritto di decidere i modi, i tempi e le possibilità di esprimere il nostro dissenso, il nostro sdegno, per una situazione che va avanti da anni e a cui rischiamo di assistere muti, silenziati da quel potere che presenta questa realtà come l’unica possibile.
E allora rivendichiamo il nostro presunto “cattivo carattere”, anzi coltiviamolo, e chiediamo a gran voce: che cosa è il patrimonio culturale, e a chi interessa?
Un patrimonio culturale è molto più dei reperti conservati in un museo, o delle rocce istoriate di un parco: un patrimonio culturale è tale perché c’è una comunità che lo riconosce, lo custodisce, lo studia, lo conosce, lo racconta, ci interagisce.
Il patrimonio culturale è cosa viva.
Se un patrimonio straordinario come quello di questa vallata – e come tanti altri in Italia – non viene riconosciuto come bene comune, e quindi non genera conoscenza, benessere sociale, lavoro stabile e degnamente retribuito, a che cosa serve?
Il patrimonio rischia di diventare solo un mezzo, del tutto irrilevante di per sé, per perpetuare procedure, apparati e bilanci da una parte, e profitti privati e promesse elettorali dall’altra.

Di chi è la responsabilità di questa situazione? Di alcune ditte e delle cooperative coinvolte, che hanno dimostrato negli anni la loro inefficienza e incompetenza, interessate esclusivamente a fare profitto e non conoscendo neppure il territorio in cui prestano il loro servizio; dei sindacati che hanno firmato e accettato contratti collettivi nazionali che prevedono paghe orarie lorde di 5,37 euro l’ora; del Ministero che pensa di poter tenere in ostaggio un bene di tutti, ritenendo di non dover prendersi la responsabilità pubblica delle sue decisioni in merito alla fruibilità, alla gestione, ai rapporti di lavoro che genera con gli appalti che propone.
E poi, senza giri di parole, la responsabilità è anche di tutti noi, lavoratrici e lavoratori, cittadine e cittadini, che troppo spesso ci facciamo piccoli quando ci dicono che abbiamo un “brutto carattere”, che deleghiamo altri ad alzare la voce per noi, che ci illudiamo di non doverci assumere le responsabilità di una realtà che è solo una delle possibili, e che continua a prosperare solo perché, senza accorgercene, ne siamo complici.





Photo credits
Copertina – Figure umane danzanti, 3200-2500 a.C. Graffito rupestre. Grande Roccia in Val Camonica, Lombardia, Brescia.