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Perché non dobbiamo dimenticare il volto di Willy Monteiro Duarte

Ci sono episodi di cronaca che vanno oltre la singola storia di un individuo, e diventano la storia di tutti. In questi casi, il mondo dell’arte e in particolare la “street art” nel migliore dei casi possono fare qualcosa per permettere che nulla sia accaduto invano, per costringerci a ricordare. A questo ho pensato quando alla TV ho ascoltato la storia del pestaggio e della morte di Willy Monteiro Duarte, il ragazzo di 21 anni che è stato massacrato di botte a Colleferro il 6 settembre scorso, solo perché era intervenuto per difendere un amico.

Nei giorni successivi a quella terribile morte, ho ricevuto una mail da parte di Alice, redattrice di Vanity Fair, che mi chiedeva di richiamarla urgentemente. Vivo a Parigi, stavo pranzando ma l’ho subito richiamata, sentivo che la questione era importante. Così mi ha spiegato che il direttore della rivista aveva avuto un’idea per la nuova copertina: avrei dovuto dipingere il ritratto per Willy a Paliano, il paese in provincia di Frosinone nel quale è cresciuto, da realizzare entro due giorni e mezzo, per dare un forte segnale all’opinione pubblica.
I tempi erano proibitivi, mi davano mezza giornata per realizzare l’opera. Come prima reazione ho rifiutato, consideravo i tempi impossibili, soprattutto perché mi avevano detto che il muro non era pronto e che, di fatto, c’era soltanto un primo contatto col sindaco del paese. Un’opera di arte pubblica non si realizza in poche ore, richiede una progettazione e dei tempi, ma lei mi ha rassicurato e abbiamo iniziato a lavorare anche se continuavo a ripetermi che quest’opera, alla fine, non saremmo riusciti a realizzarla. Continuavo a dirmi «Ok, facciamolo» ma senza credere realmente che ci saremmo riusciti. Però lentamente i contatti sono andati avanti, i biglietti aerei sono stati prenotati, e l’idea lentamente si è concretizzata sotto i miei occhi, come se nascesse da un canale sotterraneo e urgente.

Willy
Ph. Marco Garofalo

Nel frattempo, ho parlato col mio assistente Rancy. Il mondo dei graffiti è come una specie di mutuo soccorso underground: se sei un graffitaro, se hai dipinto in giro e sei rispettato, hai una rete di persone in tutta Italia e a livello internazionale che si aiuta a vicenda, si ospita e si sostiene. È una sorta di club di praticanti di uno sport estremo ed esclusivo, in cui i partecipanti si fanno la guerra o si stimano fino a vivere in modo fraterno questa appartenenza. Così lui a sua volta ha chiamato a Roma dove aveva un contatto col quale aveva già dipinto, e l’abbiamo immediatamente mandato a Paliano a incontrare il sindaco e a trovare il muro per iniziare il giorno dopo la preparazione.
Quello è stato il momento in cui ci siamo detti «D’accordo, ci proviamo davvero». All’alba sono partito da Parigi, destinazione Roma. Nel frattempo ho iniziato a progettare: la ricerca sui colori, la creazione dell’artwork, il dialogo continuo con la caporedattrice e il direttore. Un lavoro serrato: non si dorme la notte, siamo tutti lanciati per chiudere il progetto. Ho stilato la lista colori, l’artwork è diventato definitivo, abbiamo scelto la parete in largo Aldo Moro, ho creato il bozzetto con il muro posizionato, che in gergo si chiama mock-up.

Una volta arrivati a Paliano sono corso in hotel a riposare: praticamente non avevo dormito. Subito dopo, nel pomeriggio dovevamo fare il sopralluogo al muro. Ho conosciuto Michela, la producer romana che stava seguendo il progetto, e l’emissario del sindaco. È in quei momenti che ho incontrato, quasi per caso, gli amici di Willy. È sabato sera, siamo in un paesino di provincia nella via intorno al centro, momento destinato allo struscio, e tutti sono in ghingheri. Gli amici di Willy si riconoscono nella folla perché sono gli unici seri e tristi: il giorno stesso c’era stato il funerale del loro amico. I ragazzi ci ringraziano, e mi chiedono di inserire nell’opera una W con sopra un cerchietto, che sospetto essere un’aureola, che hanno inserito anche sopra la W sullo striscione che hanno appeso proprio accanto al muro che mi appresto a dipingere. Mi raccontano che quel simbolo se lo faranno tatuare tutti, sulla pelle viva, per non dimenticare Willy.

Willy

Vengo a sapere che, nonostante le mie pressioni, in quei giorni di lutto nessuno se l’è sentita di avvisare la famiglia dell’opera in corso, e questa cosa non mi lascia tranquillo: non voglio urtare la sensibilità della sua famiglia, sento che il loro dolore va rispettato. Il giorno dopo iniziamo presto a lavorare: abbiamo costruito un baldacchino intorno al muro, affinché nessuno potesse fotografare. L’idea era quella di scoprire l’opera solo al suo termine, una sorpresa per tutti. Riesco finalmente a incontrare la sorella di Willy con il cugino, mi ringraziano. Ricordo il caldo bestiale di quella giornata: la piazzetta è esposta a sud, ci batte addosso il sole degli ultimi giorni d’estate. Non c’è ombra. Lavoro in fretta, al tramonto dobbiamo scattare la fotografia, con migliaia di Watt di luci per avere uno scatto al tramonto in controluce, come nell’Impero delle luci di Magritte. Sono ore di sofferenza, ma dobbiamo farcela entro il pomeriggio, lo dobbiamo al paese, alla famiglia, a Willy e alla sua memoria.

Willy

Ai giornalisti che sono passati non ho rivelato nulla, sono stato molto vago. Le bombolette non erano complete, mancava del materiale, ho dovuto fare i salti mortali per poter realizzare alcuni colori e risolvere la mancanza di materiale. Gli amici di Willy sono seduti alla mia sinistra, abbiamo messo delle transenne per chiudere la strada e tenere lontano i curiosi. Nelle ultime due ore di lavoro sono praticamente entrato in trance, mi ritrovo con la vernice in faccia e mezzo stravolto dal sudore e dalla polvere. Al termine, posso rientrare sul pianeta terra: guardo da lontano il disegno e mi sembra ciò che avevo in testa all’inizio. Sono partito da una fotografia che mi è subito sembrata la più bella per rendere ciò che Willy rappresenta. Ho voluto mantenere lo sfondo colore oro e ho riportato il suo viso a una neutralità con dominante bianca. Nella mia idea, le mani sono diventate una sorta di guardia dall’aggressione subita, come nella boxe, una boxe che per questo ragazzo non rappresenta una battaglia ma piuttosto il mezzo per migliorare se stesso, nel gesto di sistemarsi il colletto. Sin dai primi istanti, la mia ispirazione si è mossa a partire da questa immagine, che finalmente ha preso corpo sul muro.

Willy

La pittura, il live painting in particolare, ha in sé una dimensione magica: quello che si è disegnato e dipinto improvvisamente prende vita e abita quel muro, quello spazio, quel luogo. Questo vale ancor di più per Willy e per ciò che ha insegnato a tutti noi. Ricordo bene la sensazione che ho avuto ad opera terminata. Eravamo tutti lì, io, Rancy, i suoi amici, i parenti, le persone accalcate intorno: abbiamo applaudito appena abbiamo finalmente tratteggiato la dedica e la firma, terminando ufficialmente l’opera. Dopodiché sono sceso dall’impalcatura e sono salito dalla signora del terrazzino di fronte dove il fotografo scattava, per andare in bagno a rendermi di nuovo presentabile. Sono sceso e mi sono messo davanti all’opera, guardandola per la prima volta. A quel punto sono passati tutti i suoi parenti a ringraziarmi, ed è stato un momento molto toccante. Qualcuno piangeva, qualcuno mi ha guardato a lungo negli occhi, senza dire nulla, qualcuno mi ha tenuto stretto entrambe le mani. Dopo questo momento di grande commozione, la zia di Willy mi ha parlato con un forte accento ciociaro, quello stesso accento che aveva lui, più italiano di tanti italiani. Mi ha detto: «Guardando questo ritratto, Willy mi sembra ancora vivo. Mi sembra che lui mi sorrida come faceva sempre dicendomi “bella zì”. Per me è un tuffo al cuore, vivo qui, l’ho visto crescere».  È un momento che mi tocca molto.

Willy

La gente intanto ha iniziato ad accorrere, molti da dietro le transenne fotografano, chiedono informazioni. Altri guardano, semplicemente guardano e forse, come me, continuano ad essere colpiti e ammirati dal gesto di Willy, che si è messo in mezzo a una rissa per difendere un amico. Colpisce il suo viso, il viso di un bambino nonostante i suoi 21 anni. Un ragazzo con la pelle scura, ma perfettamente italiano. Un viso sorridente, angelico, dal quale traspare l’immagine di un martire della nostra epoca. Alla luce di queste sensazioni, questa immagine si è caricata in queste settimane di tanti significati, toccando i nervi scoperti della società italiana di oggi, le sue contraddizioni. Improvvisamente, quel viso e quella scomparsa non rappresentano più un singolo caso, ma rendono questa immagine un simbolo condiviso, un’icona contemporanea che parla della nostra società, di ciò che vogliamo o non vogliamo essere.

Willy

Il 15 settembre abbiamo fatto l’inaugurazione dell’opera: a scoprire il muro sono stati gli amici di Willy. Come promesso, ho inserito l’aureola nell’opera, quel piccolo segno che continua a unire questi ragazzi e a tenerli insieme nel ricordo dell’amico scomparso. Scoprire il ritratto di Willy e mostrarlo al paese di Paliano è stato tra le cose più emozionanti che ho fatto in vita mia. La street art non dovrebbe essere un’invasione, ma qualcosa che abita gli spazi. Questi interventi artistici permanenti non devono rappresentare qualcosa che venga percepito come un’occupazione, sono lavori site-specific. Per questo mi auguro che questo ritratto, creato nel paese in cui Willy è cresciuto, possa dialogare negli anni a venire con lo spazio intorno a sé. In questo senso, oggi la sfida della street art è diventare arte pubblica ed andare oltre all’idea di un disegno che arriva dall’esterno e invade lo spazio, come era nella filosofia dei graffiti, evolvendosi nella creazione di un elemento che si può inserire nello spazio in modo sensibile, intelligente. Un’opera che riesca a parlare allo spazio in maniera non banale, interrogando le persone che abitano questo luogo. Un’opera che vada oltre all’aspetto decorativo, ma che possa invece farsi carico di costruire significato e fissare la memoria, come accade con il sorriso di Willy, che forse anche grazie al mio piccolo contributo continueremo a ricordare.






Photo credits: Marco Garofalo

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