19.06.2025

Opportunismo e compromesso. La fatica dell’arte e la prepotenza dei linguaggi estetici

Una riflessione sull’epoca della memetica e del capitalismo dell’attenzione

La Storia è stata (ri)costruita, soprattutto quella del Secolo breve, attraverso documentazioni fotografiche e riprese video che si sono trasformate in vere e proprie icone dei tornanti più significativi del recente passato. La bandiera rossa sulle rovine del Reichstag, lo sbarco in Normandia, il coraggioso tank man in piazza Tienanmen, il primo uomo sulla luna, l’attentato alle Twin Towers, giusto per fare qualche esempio. Segni profondi che ricordano eventi determinanti, veri e propri squarci visivi che hanno rivelato un altrove con cui fare i conti.

Quella che state guardando adesso e che sicuramente avrete visto nelle scorse settimane è una delle riproduzioni del celebre scatto che immortala i presidenti Trump e Zelensky al funerale di Papa Francesco. Si tratta di un’istantanea che in tanti hanno ritenuto “storica” in virtù dell’immaginario che riusciva a racchiudere in un momento toccante e coinvolgente per i credenti di tutto il pianeta e in quanto ipotetico turning point della drammatica guerra che si sta combattendo da ormai tre anni tra Russia e Ucraina. I due leader a tu per tu, all’interno di uno spazio sacro, in un momento di grande intensità emotiva, catturati in un fotogramma, in seguito diffuso dalla Santa Sede, si confrontano, avvicinandosi reciprocamente in un complesso diagramma geometrico. La vera domanda in merito a questa foto diffusa e rimediata attraverso telegiornali, carta stampata, social e piattaforme on line di varia tipologia è: si tratta realmente di uno scatto rilevante per la sua determinante portata storica o dell’ennesimo political opportunism?

Ricordo che molti anni fa un’artista mi fece riflettere su quanto possa essere (più) importante chi si trova dietro l’obiettivo, come venga scelto il taglio e come venga diffuso il prodotto finale rispetto al contenuto effettivo dello scatto. In questo caso il messaggio di primo livello è fin troppo chiaro, ma quelli dei restanti livelli sottostanti potrebbero esserlo meno. E sono proprio gli hidden meanings che segnano la distanza tra la singolarità non rilevante dell’evento immortalato e la proliferazione dozzinale e virale che trascina il portato significativo e determinante della testimonianza dei due leader a confronto (e soprattutto delle conseguenze dello storico evento che in realtà non sono state così rilevanti) in ciò che rimane della rappresentazione stessa. Eventizzare un’immagine equivale a riempire di significato e valore uno scatto di portata storica, senza che sia effettivamente così determinante.  È una forma “recente” di propaganda che tenta di mantenere l’attenzione sul personaggio pubblico di turno attraverso un eccesso espositivo e un’esagerazione provocatoria o comunque dissonante.

Ecco dove lo scatto si trasforma in immagine, lasciando una bava persistente in rete e per l’appunto nel nostro immaginario collettivo.
In tal senso un’altra domanda sorge spontanea: la rete e il nostro immaginario collettivo sono ormai spazi sovrascritti e definitivamente interconnessi? Ma tornando allo scatto di partenza, esistono diverse versioni con i due leader a confronto all’interno della Basilica di San Pietro e inevitabilmente diversi meme rintracciabili sul web. In questo caso però nessuna rimediazione memetica è stata in grado di spingere altrove la plastica perfezione di questa immagine. La sua prepotenza visiva non è stata minimamente scalfita o alterata dai tentativi di manipolazione. La memetica è uno dei “nuovi” linguaggi estetici in grado di produrre contenuti virali di enorme impatto nelle distese permeabili dei social. La storica dell’arte Valentina Tanni ha in tal senso affrontato il tema nel suo saggio Memestetica. Il settembre eterno dell’arte (Nero) , arrivando ad affermare: «Le immagini circolano online in versioni e formati diversi […] sono oggetto di uso compulsivo: un consumo costante che sembra quasi deteriorarle».

Lo stesso Donald Trump ha compreso quanto sia determinante la produzione, attraverso linguaggi estetici, di contenuti virali dirompenti nella loro funzione memetica e rimediatrice. Esemplare è il caso dell’improbabile rappresentazione del Presidente in foggia di Papa, creata (non so chi l’abbia fatta, ma a Melania è piaciuta molto…ipse dixit) attraverso l’intelligenza artificiale e diffusa sul social TRUTH e di conseguenza su tutte le altre piattaforme. Trump aveva già, scherzosamente, confessato qualche giorno fa: «Penso che sarei un grande Papa. Nessuno lo farebbe meglio di me».  Simpatizzare il portato politico (nel bene e nel male) può essere l’arma di distrazione di massa per rimettere in discussione qualsiasi contenuto, per sbaragliare qualsiasi posizione critica nei confronti di chi lo esercita e lo veicola. Un chiaro esempio è stato il caso del primo ministro Edi Rama che s’inginocchia per accogliere la presidente del consiglio Meloni. Ma al di là delle sgrammaticature di alcuni politici e le manie di grandezza di uno degli uomini più potenti del pianeta, le riflessioni che emergono dalle manipolazioni e rimediazioni di un contenuto estetico-politico, dove i due piani confliggono, ma si sostengono parossisticamente, spostando l’attenzione esclusivamente sui protagonisti dell’operazione, risultano essere le seguenti:
Come è possibile oggi affrontare il presente attraverso la produzione di immagini? Siamo in grado di separare e considerare con un’analisi critica ponderata la produzione artistica dalla performatività dei linguaggi estetici oramai padroneggiati molto meglio dai politici di quanto non riescano i sedicenti artisti?

Infatti ultimamente i politici hanno occasioni straordinarie per il loro presenzialismo e il loro nutrito recinto social, e sono quindi in grado di sfruttarle attraverso costruzioni visive che riescono ad irretire l’attenzione del mondo, grazie all’immediatezza e alla permeabilità della diffusione virale. Una quotidiana diffusione di contenuti estetizzati sminuisce la comprensione della reale portata degli eventi più rilevanti. Tutto si appiattisce sulla sterminata pianura del gossip e del chiacchiericcio da bar. Inoltre questo sistema funziona in un ambiente che non conosce più alcun confine. I social premiano la prepotenza visiva, capitalizzando il volume di consenso che deve crescere esponenzialmente a qualsiasi costo.
Un mio alunno qualche giorno fa mi ha chiesto che cosa accomuna Kanye West, il nazismo, Trump e Putin (credo che la domanda facesse riferimento alla canzone del rapper evidentemente e provocatoriamente pro-nazi). Ho risposto che in un sistema che premia l’estrema viralità e visibilità ogni potenziale messaggio scompare contro un muro di apparenza.
Scrive lo storico statunitense Daniel Immerwahr in un puntuale articolo su Internazionale:

«Anni fa Donald Trump, Elon Musk e Kanye West non avevano praticamente niente in comune. Ora la loro ricerca di visibilità li ha trasformati in versioni della stessa persona: il troll dell’attenzione. E, anche se vorremmo, non riusciamo a distogliere lo sguardo.»

Il paradosso dei nostri tempi è proprio questa semplificazione e desertificazione dell’attenzione e della volontà. Il desiderio non è più intercettato da chi ha il potere ma ne viene creato uno ex-novo da imporre sul mercato dello sguardo, spingendo l’acceleratore sui nostri istinti più bassi e arcaici. Lo studioso Chris Hayes nel suo saggio The Siren’s call affronta proprio la questione del “capitalismo dell’attenzione” e di tutto quello che ne consegue. Il martellamento di contenuti “facili”, acchiappanti, furbi, scorretti e immediati ci distoglie dal tempo necessario per decodificare criticamente ciò che ci passa davanti agli occhi, depotenziando la nostra attenzione. Accarezziamo schermi che ci inoculano un veleno a bassa intensità, mentre la nostra attenzione resta intrappolata nella slot machine virale di piattaforme distrattive ed estrattive. Quali forme di resistenza, oggi, potrebbero arginare e fronteggiare questa deriva?
 



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