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La performance art ti mangia il ventre. Una conversazione con Kyrahm



L’artista Kyrahm, attiva nell’ambito della performance art, della videoarte e del teatro d’avanguardia, è una delle voci più interessanti e più inclini alla sperimentazione del panorama artistico italiano e internazionale.
La ricerca artistica di Kyrahm, oggetto di studio presso Accademie e Università in Europa, negli Stati Uniti e in America Latina, è stata premiata con riconoscimenti e premi istituzionali in tutto il mondo, fino alla più recente Menzione al premio Globo d’Oro (2019) per il documentario Chiudi gli Occhi e Vola di Julia Pietrangeli, per il quale Kyrahm ha lavorato, insieme alla stessa Pietrangeli, alla sceneggiatura.
Abbiamo dunque pensato a un’intervista che fosse un “viaggio” nel mondo della performance art, alla scoperta delle sue peculiari caratteristiche.

Kyrahm

Una delle cose che più affascinano della performance art è che, a differenza per esempio del teatro, ciò che va in scena non è finzione, anzi: il performance artist dona allo spettatore la parte più “vera” di sé; non si inserisce in un ruolo, quanto piuttosto si spoglia di quelli che a volte la quotidianità impone. Che cos’è il “vero” per Kyrahm, e cosa trasforma un’azione in un’azione performativa?
La performance art ti osserva, ti seduce e poi ti mangia il ventre. Se dopo aver assistito a un’azione artistica la tua vita continua a essere quella di sempre, allora non hai assistito a una performance. Questo è il mio concetto di verità.
Per quanto riguarda la tua seconda domanda, senza riprendere la visione duchampiana secondo la quale è il contesto a far sì che un’opera d’arte diventi tale, a mio parere l’azione performativa si pone a metà strada tra il rito e la rappresentazione icastica, e questa non è caratteristica propria di qualsiasi azione. La differenza sta nel passaggio che trasforma l’ordinario in straordinario. Linguaggio e intenzione sono significanti, ma la parte più rilevante ce l’ha il significato.

Un’altra immagine che ho sempre trovato molto potente è quella della “ferita feritoia”: per comunicare davvero con le fragilità del pubblico, per entrare in risonanza con altre sensibilità, l’artista deve “aprire” le proprie ferite, passarci attraverso e tornare da quelle profondità con un dono tra le mani.
Come avviene, secondo te, questa “trasformazione del dolore in bellezza”?

Rispondo con un’opera, il video della performance Il Gioielliere, ideata e realizzata insieme a Julius Kaiser.
È un progetto contro la violenza sulle donne dove ho provato a trasformare il dolore in qualcosa di bello.

A proposito di dolore che diventa bellezza, puoi raccontarci come è nata – e come si è a mano a mano arricchita di contenuti così vividi e profondi – la stupenda performance Ecce (H)omo, Guerrieri?
La performance Ecce (H)omo, Guerrieri è una riflessione sull’Amore e sulla fragilità umana.
L’opera è nata durante un periodo piuttosto controverso per la mia salute, e per realizzarla ho cercato persone che avessero con me affinità di intenzioni, come l’artista performativo Nicola Fornoni, con cui ho affrontato il tema di sessualità e disabilità.
Lo sviluppo dell’opera è avvenuto nell’arco di un anno: ho cercato i protagonisti dopo decine di casting. È attraverso questi ultimi che ho avuto modo di scegliere, tra gli altri artisti, l’attrice Fulvia Patrizia Olivieri, insignita recentemente con il premio Vincenzo Crocitti 2020.

Kyrahm

Puoi dirci qualcosa sugli altri artisti coinvolti nella performance?
Nell’opera, che si sviluppa su più sale, c’è una donna che ha trovato la forza di lasciare un messaggio d’amore nonostante la malattia terminale che da lì a poco l’avrebbe portata via. Nella sala successiva si incontra una famiglia composta da due madri omosessuali e una neonata (una società senza diritti è una società malata). Una donna si commuove osservando i segni del tempo sul proprio volto, un’altra ascolta la voce della compagna ormai morta, con la quale ha condiviso ventitré anni della propria vita. Un figlio si prende cura della madre anziana. Nell’ultima sala, il canto di un soprano accompagna una Pietas sul diritto di tutti i corpi a esistere ed essere amati.

Da quello che dici emerge, oltre all’impatto visivo della performance, anche l’importanza della dimensione dell’ascolto.
Sì, è il caso di Lilli e Teresa, che si sono amate “finché morte non le ha separate”, spose di fatto in un’Italia che ha recentemente approvato una legge sulle unioni civili mutilata.
Anni fa, dopo aver conosciuto Teresa in Puglia, Lilli emigrò in Germania per lavoro, ma le telefonate interurbane costavano molto. Le due donne decisero di inviarsi per posta delle cassette dove registravano ogni volta dei veri e propri monologhi d’amore. Durante la performance Lilli ha riascoltato le cassette, condividendo sogni e ricordi con il commosso pubblico presente. È stato un dono immenso contro ogni pregiudizio, contro l’omofobia.

Il tema dell’ascolto torna anche nella performance di Pepijoy.
Pepijoy ha fatto ascoltare al pubblico presente la propria voce registrata: quella che aveva prima che il carcinoma alla lingua la colpisse: una voce squillante, suadente, che recita la poesia non parlo perché tu non mi ascolti. Una poesia che è anche il titolo di una scultura che ha portato in scena.
Pepijoy mi raccontò una particolarissima coincidenza: qualche anno fa, mentre realizzava la scultura, questa si lacerò accidentalmente sotto le labbra serrate del volto. Nel frattempo la bella e suadente voce dell’artista è mutata a causa della malattia. Durante l’azione ha condiviso con le persone un messaggio d’amore, sull’importanza di passare gli ultimi anni della propria vita con gioia. Ora Pepijoy non c’è più, ma le sue parole continuano a vivere attraverso quest’opera.

È possibile, oggi, visionare l’opera?
L’opera è stata presentata dal vivo a Palazzo Falletti a Roma, nel 2016, e poi nell’ambito della Venice International Performance Art Week di Venezia, sempre nel 2016 e con i principali esponenti della body art storica.
Per la delicatezza dei temi trattati tra vita, morte e malattia, non ho voluto che il film della performance venisse distribuito in modo tradizionale. Può essere visionato su appuntamento (scrivendo a kyrahm@yahoo.it) presso il mio studio ed è l’unico video che viene mostrato in via del tutto eccezionale in occasione di eventi rigidamente controllati, esclusivi e significativi. Online è possibile vedere esclusivamente il trailer.

Quanto è importante, secondo te, la presenza del pubblico nella “performance art”? Parafrasando l’antica domanda: una performance nel deserto può fare rumore? È possibile performare per se stessi?
Per quanto riguarda la mia ricerca, la presenza del pubblico è fondamentale. Come un atto d’amore. Esistono comunque posizioni molto differenti a riguardo: per esempio per l’arte di comportamento la performance può esistere indipendente dal fruitore, anche senza qualcuno che osserva l’azione.

In molte delle tue performance la tua arte si è messa al servizio di importanti tematiche sociali. Come scegli, tra le tante idee che ti verranno in mente, quelle alle quali dedicare una performance, e quanto conta la fase preliminare di studio in opere di questo tipo?
La preparazione per un nuovo lavoro richiede anche mesi, a volte anni.
Il fattore scatenante può essere un’esperienza personale dalla quale poi cerco di allontanarmi per restituire una prospettiva il più possibile universale. Altre volte è una necessità che ti respira accanto o un’intuizione scaturita da un particolare ambiente. Molto spesso il ruolo fondamentale è svolto dagli incontri.

Puoi raccontarci come sei arrivata a lavorare su Dentro/Fuori, performance nella quale sei arrivata a chiuderti per 24 ore in una cella di isolamento, e sulla più recente Davide e Golia, dedicata alle vittime di mafia?
Per Dentro/Fuori la vicenda di Stefano Cucchi è stata la miccia. Ho incontrato personalmente ex detenuti per poi rimanere sorpresa da fattori che non avevo considerato, come la differente percezione del tempo (nel carcere si dilata e si trasforma) o la netta distinzione che esiste tra uomo libero e liberato (chi è stato in prigione porta con sé un vissuto che lo segna per il resto dell’esistenza).
Nel caso di Davide e Golia il protagonista è un vero testimone di giustizia sotto scorta che ho coinvolto nella distruzione di un monolite costruito all’interno del MACRO, il Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Anche in questo caso è stato fondamentale il confronto con chi ha deciso di denunciare: prima della performance ho intervistato diverse persone che hanno portato avanti questa scelta tra Campania, Sicilia e Calabria.

In che modo è possibile sapere di più sulla tua produzione e sui tuoi progetti futuri?
A febbraio i video delle opere che ho realizzato con Julius Kaiser saranno presentati al museo di Belgrado in occasione della rassegna Performance Art Film Program, con proiezioni di azioni di artisti storici e internazionali. Attualmente è possibile vedere alcuni lavori che sono stati distribuiti su piattaforme di videoarte e cinematografiche.
(A)mare Conchiglie, la video performance scritta e diretta da me e Julia Pietrangeli (Julius Kaiser), con protagonisti i migranti che in un convivio poetico in mezzo al mare raccontano le loro storie, può essere vista su VisualcontainerTV, piattaforma di videoarte.
Chiudi gli Occhi e Vola, il film sui piloti d’aereo non vedenti, racconta la forza di chi sa vivere all’altezza dei propri sogni. Diretto da Julia Pietrangeli, che l’ha scritto insieme a me e a Frida Aimme, ha ottenuto la nomination come miglior documentario italiano al Globo d’Oro 2019 e miglior regia al Social World Film Festival. È disponibile su Chili.
Chi vedrà i film menzionati e attesterà il supporto comparirà nei ringraziamenti dei titoli di coda del prossimo film, che gireremo nel 2021.

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