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Storia genetica del dolore. Mor di Sara Garagnani



È verità universalmente nota che nel DNA di ogni persona ci siano scritte le memorie genetiche della famiglia d’origine. Eppure, a volte, ci si dimentica che, oltre al colore degli occhi e alle malattie ereditarie, potrebbe esserci un messaggio molto più importante nascosto dentro quell’elica: è trascritto con un pennarello invisibile e riporta tutto il peso dei ricordi, di ciò che è stato detto ma soprattutto taciuto. Lo sa bene Sara Garagnani che con Mor. Storia delle mie madri (add editore) sembra voler sciogliere ogni nodo e, tassello dopo tassello, portare alla luce le verità nascoste nelle generazioni a lei precedenti, attraverso vicende conosciute e altre mai scoperte. L’albero genealogico di Sara si attorciglia attorno alle figure femminili della sua vita per scavare nell’animo, trovare il senso della parola casa e portare alla luce ciò che è inciso invisibilmente nel DNA di ciascuna di loro: una violenza mai raccontata.

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Per entrare nelle pagine di questo graphic novel, bisogna sapere che Mor, in svedese, significa madre, Mormor madre di madre (e quindi nonna) e così via fino all’ava a cui si preferisce arrivare. Per l’illustratrice, residente a Bologna, i salti temporali non sono centenari ma vanno dagli anni Cinquanta fino a poco dopo i Duemila, per narrare la sua storia, quella di Annette, sua madre, e di Olga, sua nonna e mamma di Annette.

Sono soprattutto due tipi di infanzia a confrontarsi in queste tavole, intrecciandosi fra loro. Annette nasce in Svezia e cresce un po’ ovunque. Città dopo città, nazione dopo nazione, la madre di Sara ha un padre fisicamente presente ma mentalmente lontano e una figura materna ingombrante. Puntigliosa in ogni momento, amorevole solo per pochi istanti, disorientata per la maggior parte del tempo. Quella di Annette è una violenza quotidiana e continua: soprattutto mentale, subita dalla madre, e poi anche fisica, durante l’adolescenza, per mano del nuovo compagno di Olga. Al suo fianco ci sarà per un breve periodo un fedele alleato, il gemello Christer, che però imparerà con gli anni a chiudersi a riccio e allontanarsi dal dolore della sorella.

Ed è questa una delle domande che più affligge Sara: come può il dolore dividere invece che unire? Come può una madre, che parla una lingua diversa, non volerti far entrare in quella parte del suo mondo? Perché Sara nascerà a Bologna, dove Annette conoscerà Tino. E la loro storia, fino a quando la protagonista sarà bambina, sembrerà fluire dolce e leggera, senza problemi. Ma i fantasmi del passato torneranno ed ecco spuntare le prime avvisaglie, le bottiglie di vino scolate una dietro l’altra, la testa invasa da pensieri e paranoie fino a rendere reale solo i magoni. Sara si chiederà sempre più spesso le cause di tali comportamenti ma le mancheranno troppe risposte per riuscire a ricomporre l’immagine di tutti i timori che affliggono la persona che più ama e che l’ha messa al mondo. 

È proprio l’immagine del puzzle, in frantumi e poi in via di ricostruzione, che torna più volte nelle tavole di Mor. Storia delle mie madri. Perché il vero e grande fine di questa narrazione è riassemblare i frammenti lasciati dalle generazioni precedenti per capire meglio il presente e imparare ad essere persone migliori nel futuro. Queste tavole aprono infiniti spunti di riflessioni su tematiche che sono le fondamenta, il DNA dell’esistenza. 

Cosa significa per una donna essere figlia? Cosa comporta essere madre? E cosa succede quando si diventa entrambe? La figlia unica di Guadalupe Nettel tratta questo delicato equilibrio con spontaneità, con parole semplici ma costruendo un discorso profondo. Sara Garagnani lo riprende e lo interpreta in modo nuovo, alla luce di violenze più profonde e paure radicate nel tempo e mai sbrigliate.

Non manca nemmeno la figura paterna che in questa storia, però, non ne esce particolarmente splendente. Dove sono gli uomini quando il dolore entra nella vita delle protagoniste di queste vicende? Perché non reagiscono quando la violenza prende il sopravvento? Quanto è più facile restare lontani, impegnati con il lavoro, invece di fermarsi e abbracciare i figli o una sorella? E il loro ruolo, ovviamente, è timido persino nelle relazioni amorose. «Chissà se l’amore era una guerra o una tregua», ci si chiede mentre una personale interpretazione de’ Gli amanti di Magritte, noto quadro del pittore belga firmato nel 1928, si baciano senza sfiorarsi le labbra, ognuno avvolto nel proprio velo di paure e ansie.

Infine il concetto di casa, il trasloco che per Annette diventa ogni volta occasione per rinascere, reinventarsi una vita, provare a essere una persona nuova davanti a spettatori differenti. Tentativi che cadono nel vuoto perché il buio che soffoca il suo cuore non ha attorno nessuna luce per scaldarlo o semplicemente non riesce a vederlo. 

Tutto ciò viene narrato riprendendo il linguaggio arcaico delle incisioni, prendendo dal Nord le linee precise che definiscono ciò che è necessario per ogni uomo per restare in vita: la casa, l’amicizia, il magone, il sole, il gatto. Sara Garagnani compie questo viaggio a ritroso, all’origine di ogni male e alla ricerca dei significati più profondi nell’esistenza delle donne che ama, cercando uno stile sempre più decostruito, libero da ogni ghirigoro.

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Con il cambiare dei sentimenti e delle emozioni, muta anche l’approccio grafico. La rabbia deforma i volti, le tonalità dei colori diventano sempre più scure fino a prendere il sopravvento e inglobare chi soffre. 

Si può guarire dal passato? Probabilmente no, ma si può affrontarlo per trovare nuovi significati.

Immagini di copertina e nel testo: Sara Garagnani

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