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Naufragare in se stessi. Nostalgie della terra di Mauro Tetti



Dei diari ritrovati, una rotta da seguire, la promessa della risoluzione ultima delle cose. E un forte, fortissimo desiderio malinconico di quanto è lontano. Nostalgie della terra di Mauro Tetti, ultimo arrivato nella collana Incursioni, edito da Italo Svevo Edizioni, è un viaggio onirico tra le coste di una Sardegna leggendaria e estremamente autentica, che ha i contorni di un’avventura per mare e la consistenza di una speculazione filosofica. 

Nostalgie della terra

Il racconto parte dal Villaggio dei pescatori di Giorgino, vicino Cagliari, dove un protagonista senza nome recupera i diari di una donna «figlia di balene e di cavallucci marini, stelle cadute in mare, figlia di schiuma battente sulle rive di una costa greca»: Maddalena è un essere quasi mitologico dai lunghi capelli neri e sulla pelle le rotte di un viaggio leggendario.

Così si sviluppano i due piani narrativi. Il primo segue il viaggio del protagonista, l’altro invece la rotta percorsa da Maddalena tempo prima. Le pagine dei diari, a volte corrette, si alternano ai pensieri del protagonista, che non trova pace nella città murata, affonda nei suoi pensieri e nel continuo rimuginare.
Arriva un momento poi, quando si è circondati dal mare, in cui l’impulso di attraversarlo, ad andare oltre, diventa insopportabile, e quando si rompe l’equilibrio tra «l’ansia di spostarsi e la voglia di andare e non tornare mai più», l’agire diventa inevitabile ed è come andare alla ricerca della radice della propria identità, dell’esistenza stessa: spinto dalla promessa di un tesoro in grado di mettere in ordine ogni cosa, il protagonista agisce e decide di farsi guidare dai diari. 

«Non importa dove sei quando succede. Puoi essere in un bosco e nessuno ti ha visto andare tra gli alberi, può essere che stai andando verso il villaggio o non sai più dove stai andando […] può essere pure tutto oppure niente: ma viene il giorno che crollano tutti i convincimenti di una vita. Questo il momento di andare per mare, così si dice, e di partire verso le isole dimenticate.»

L’impresa si rivela complessa sin dall’inizio, salpare vuol dire lasciarsi alle spalle una dimensione nota, per quanto soffocante, e sceglierne una nuova, instabile, composta da troppe incognite, a partire dai compagni di viaggio. 
E poi c’è l’Isola, o meglio le isole nell’Isola. A ogni capitolo corrispondono le coordinate di ciascuna tappa di questa avventura quasi omerica, che non ha la pretesa di insegnare niente. Ogni approdo è una scoperta, un passaggio verso una riconciliazione con quella stessa terra che sembrava non essere abbastanza.

La Sardegna che Tetti restituisce è ipnotica e ammaliante, crudele e impietosa come le leggende che ospita. Nonostante lo scenario narrativo sia a tratti distopico, quello che emerge è un ritratto autentico del territorio, che chiunque abbia avuto la possibilità di vivere non avrà difficoltà a riconoscere. Un territorio fatto di vento e lentischio, di salsedine e falesie, di basi militari e inquinamento industriale, di creature magiche e marinai, di speranza e risentimento. 

Nostalgie della terra
Cagliari

La scrittura di Tetti è densa e avvolgente, trascina chi legge in una dimensione onirica – che talvolta diventa un incubo -, e si concilia perfettamente con la linea editoriale delle Incursioni. Le parole in sardo sono un ancoraggio al reale, che l’autore traduce plasmandole a suo piacimento.

La narrazione in Nostalgie della terra solo apparentemente segue lo schema classico del fiabesco, sintetizzato da Propp come l’alternarsi di equilibrio iniziale – rottura – viaggio dell’eroe – ritorno e ristabilimento dell’equilibrio. Più ci si addentra nel racconto infatti e più lo schema salta e il tutto si rivela una instancabile – e inevitabile – ricerca di senso, un’indagine che si può definire filosofica perché volta a conoscere il senso di un’esistenza, di un sistema, che ne sono apparentemente privi. È l’impulso che attraversa l’intero romanzo, lo strumento con cui i personaggi cercano di arrivare al tesoro, alla risoluzione ultima, alla radice della propria identità.  

«Chi chiude gli occhi per primo, pensavo, vedrà mondi aprirsi e diventare foreste di foglie, vedrà civiltà rinascere dalle macerie dei villaggi ferrigni, vedrà il tempo, percepirà il moto delle costellazioni, forse parlerà a bassa voce con una o due stelle, per dire cose senza senso e senza fine; vedrà le comete scendere sulla terra e distribuire le acque in distese di mari dolci, dove fermentano i primi microrganismi, penserà che i ricordi inizino con l’inizio del mare.»

Il protagonista senza nome percorre il suo viaggio, eroe e anti-eroe di se stesso, naufragando nelle parole di Maddalena, nel mito, scontrandosi sempre più con la finitezza delle cose e la fallibilità dell’umano. Con la consapevolezza finale, forse, che la sensazione di incompiutezza è un sentire comune

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