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“Marry the night”: L’anima della festa di Tea Hacic-Vlahovic



Mentre ero dal parrucchiere, l’altro giorno, mi sono accorta di aver abbandonato L’anima della festa in balia del divanetto che accoglie chi rimane in attesa del proprio turno. Mi sono divertita a sbirciare attraverso lo specchio le reazioni dei clienti che si sono imbattuti nel libro: la genuina curiosità di una vecchietta che l’ha sfogliato con discrezione, quasi a non volersi fare scoprire nel compiere un gesto un po’ peccaminoso; e lo sdegno saccente del tipo arrivato dopo di lei davanti alla provocazione della quarta di copertina: «Essere donna è imbarazzante, ma essere uomini è patetico». In quel momento ho pensato a quanto sarebbe stato ancora più spiazzante leggere L’anima della festa, primo romanzo di Tea Hacic-Vlahovic (edito da Fandango nella traduzione di Francesco Graziosi), se non avessi avuto in mente pagina dopo pagina, la sua inconfondibile loquacità intrisa di anglismi e se non avessi sentito ore del suo podcast, Troie radicali, o visto compulsivamente i suoi reel su Instagram negli ultimi mesi. 

Per chi avesse invece bisogno di una introduzione all’autrice: Tea Hacic-Vlahovic è la fondatrice del magazine Stai Zitta e voce e madre del podcast Troie Radicali. Partita da Tumblr, ha in seguito scritto per Vice, Wired, Dazed, i-D e molte altre riviste e si è sempre distinta come blogger e columnist grazie alla capacità di raccontare la sua vita mescolando alti e bassi con una cifra ironica a cui facilmente ci si affeziona, costruendosi una fan base che l’ha seguita anche su altri social; negli ultimi mesi il suo pubblico è continuato a crescere grazie al suo oversharing costante e disinibito e ad altri contenuti divertenti, da stand-up comedy.

Il libro è stato pubblicato nel 2020 da una casa editrice newyorkese, Clash Books, una realtà piccola e indipendente che ambisce a scovare libri che altrove non sarebbero pubblicati. Mi soffermo su questo aspetto perché trovo interessante ragionare sui contrasti tra le scelte editoriali in Italia e Usa. Negli Stati Uniti la grafica di copertina è un esplicito richiamo a un’estetica da riot grrrl anni Novanta, in consonanza con un certo stile che incarna la stessa protagonista del libro. Inoltre, gli strilli di copertina sono abbastanza spiazzanti se visti da qui: “Tea Hacic is an MDMA-fueled Oscar Wilde with fake eyelashes and this book is a Fear and Loathing for the late Berlusconi-era”. 

In Italia la copertina si ingentilisce e diventa una “dark comedy cupissima ambientata a Milano”. La grazia del gesto in copertina penso possa fuorviare rispetto al contenuto del libro stesso, che invece è spinto, irregolare e dirompente, come la colonna sonora punk-rock che potete recuperare mettendo insieme le canzoni citate nel libro. Quanto alla traduzione di Francesco Graziosi, l’autrice stessa l’ha definita in un’intervista con Il libraio «un lavoro certosino, anche se ovviamente alcune cose non possono essere tradotte perfettamente. È come se mi avesse fatto un lifting: sono un po’ diversa, ma sto bene lo stesso».

Veniamo alla trama: Tea Hacic-Vlahovic lascia che sia la protagonista a parlare in prima persona. Così seguiamo per tutto il libro la voce di Mia, ventenne americana con origini croate che vive a Milano per studiare moda alla NABA. È una persona ironica e spontanea, anche se «Tutti pensano che stia scherzando quando sono seria, e nessuno pensa mai che sia seria quando scherzo». Mia ricalca un ritratto generazionale comune a molte ragazze: nonostante l’opulenza delle feste e degli ambienti che arriva a frequentare, vive al limite dell’indigenza, in un minuscolo appartamento condiviso con Maria, la sua coinquilina, e lavorando part-time (che spesso e volentieri si trasforma in un tempo pieno) per una delle più importanti PR della città. Che non sembri, però, un romanzo di formazione di chi vuole partire dal nulla e salire alla ribalta: al contrario, pare che Mia tenda sempre a divagare dai suoi obiettivi e a rincorrere una vitalità sfrenata che la porterà davanti a situazioni ed episodi ai limiti del surreale. Il tutto condito da una fortissima autoironia che rende la lettura leggera, nonostante la gravità di alcuni temi affrontati. 

Cosa farei per un BlackBerry:
1. Passare una notte alla Stazione Centrale
2. Mandare foto nuda ai miei genitori
3. Salire sul 90 nuda
4. Farmi la cacca addosso in pubblico
5. Consumare 10.000 calorie in un colpo solo
6. È molto probabile che io finisca per fare tutte queste cose senza ottenere comunque un BlackBerry.

Leggendo il libro, da un lato traspare la coscienza cristallina di una ragazza che parla sempre senza filtri, dall’altro sembra quasi che tutti i personaggi con cui si interfaccia abbiano uno o più lati negativi, che a volte finiscono per combaciare pericolosamente con i tratti caratteriali più fragili della personalità di Mia. In particolare, un uomo sposato con cui inizia una relazione dopo un incontro in una galleria. La storia d’amore accompagnerà tutto il romanzo: a partire da una forte attrazione sessuale, sbocciata sul set di un servizio fotografico porno a cui Mia stava partecipando, si instaurerà un rapporto sado-masochistico descritto con dovizia di particolari. Non fraintendetemi, a essere spiazzanti non sono le scene hardcore descritte, ma la sincerità con cui Mia parla del disagio di una relazione squilibrata che l’ha portata, episodio dopo episodio, in situazioni emotive logoranti e distruttive. Inoltre, come avevo accennato, il libro condisce alcuni temi importanti con dosi massicce di autoironia. La parabola del rapporto di Mia con il cibo viene descritta in una chiave assolutamente non moralistica e non drammatizzante, regalandoci una rappresentazione genuina e realistica di cosa voglia dire convivere con un disturbo del comportamento alimentare.

Tea Hacic

Non tutti i personaggi del libro hanno tratti diabolici: i fidati confessori di questa ragazza sono i piccioni, con cui ingaggia delle brevi conversazioni in diverse parti del libro. I piccioni di L’anima della festa sono l’animale guida di Mia, possono essere partecipi di momenti di introspezione, di disperazione o semplicemente fare da spalla per stacchetti divertenti: «Ohi ragazzi, come va?” Un piccione albino con un occhio che gli cola e uno grigio senza un dito si litigano un mozzicone di sigaretta. “Mangiamo schifezze e ci facciamo calpestare, tu?”. “Uguale”, rispondo io, laconica».

Il mondo che Mia ci descrive viene visto dagli occhi dei ratti, «I see the world through rat’s eyes», come dice la canzone dei Black Flag posta in esergo, che dà anche la cifra del punto di vista di osservazione di Mia, una marginalità da cui scruta e assorbe una Milano che di fianco al suo glamour mostra anche una certa decadenza e putrescenza. 

«Milano non avrebbe senso vista di giorno. È troppo brutta, e non in senso figo. Non è come un video di musica grunge o un adolescente scappato di casa. È una donna che si sveglia col doposbronza, si guarda allo specchio e urla perché nel giro di una notte ha perso tutto il collagene che aveva.
È patetica perché vorrebbe non essere brutta.»

Il libro è anche una lettera d’amore a una città con molte contraddizioni. Trattata come ogni altro personaggio del libro, di Milano vengono messi in luce gli aspetti ammalianti ma anche i tratti disgustosi e patetici. La scrittura di Tea Hacic cerca un costante confronto col mondo circostante, con gli elementi architettonici e urbanistici del luogo, con le diverse aree della città. Lo stile sembra divagare e perdersi nei dettagli, ma finisce così per tratteggiare un’ambientazione che ci mostra la città attraverso uno sguardo diverso. Il brutalismo del Duomo, che in realtà è «solo brutto», diventa l’occasione per Tea Hacic di recensire i bagni migliori della città. Di fianco a questo, sono anche i club e le feste a essere setacciati e passati in rassegna. In Cunt Club, uno dei capitoli iniziali, assistiamo a una carrellata delle feste che ricalcano l’agenda settimanale di Mia, che come vediamo lascia solo il lunedì sera libero. Quindi in sequenza vediamo la storia delle più importanti venue milanesi raccontate con lo stile di Tea Hacic, che suonerà familiare a chi la seguiva ai tempi delle sue rubriche su Vice. Rocket, Cuore, Bruttoposse, Plastic: tutti luoghi da cui emergono storie e attitudini differenti e in cui si ambientano le fragorose vicende di Mia, che passa i suoi anni a Milano alle prese con vicende delle più disparate nei suoi rapporti con uomini, colleghi e amiche.

«Un modello francese con cui uscivo mi ha definita “una giovane Lydia Lunch”. E voleva essere generoso. Le ragazze davvero carine che conosco non si divertono quanto mi diverto io perché si vogliono bene. Volersi bene è un ostacolo al divertimento.»

La festa è quello che serve a Mia per diventare ciò che vuole. La dimensione edonistica ed evasiva di questa occasione viene descritta in più punti del libro. A Mia non importa nulla della fama delle persone presenti, l’importante è la dimensione spirituale che emerge, che libera le anime da inibizioni e dalla noia della vita quotidiana. 

«Una festa è più simile al fare la cacca impudentemente nel bel mezzo di una strada affollata. A nessuno frega un cazzo se caghi nel deserto. Quando la musica inizia a pompare, io urlo come una dannata e a nessuno frega niente, perché pensano che stia cantando. Posso buttarmi a terra e protestare contro la vita stessa, e sembrerà che io stia ballando. Posso piangere, vomitare, rubare, spingere, sputare, calpestare piedi, collassare, svegliarmi e rifare tutto da capo. A una festa puoi vivere un’intera vita, una vita alternativa dove le uniche regole che valgono si applicano a come sei vestita. E per quello la mia regola è: se non ti piace quello che hai addosso, levatelo!»

Mia si riesce a ritagliare nelle feste uno spazio di libertà, un luogo in cui può lasciare libera la sua punk attitude e arrivare anche a brillare proprio per questo, per il suo saper aggiungere quel pezzo di magia quando manca qualcosa e divenire così l’anima della festa, lasciandoci anche una preziosa lista di consigli su come fare a diventarlo. 

Il libro è pieno di consigli utili, come la già menzionata sfilza dei bagni migliori di Milano, l’agenda delle feste settimanali, o le cose da sapere per rendere il tuo party perfetto. Tuttavia non si tratta di un libro soltanto incentrato sulla vita notturna milanese, pensato esclusivamente per chi vuole sapere come era la realtà dei club nei primi anni Dieci. In effetti, la vita di Mia si può offrire a spunti di riflessione preziosi sulla condizione di genere, che resta implicito nelle considerazioni della protagonista ma in realtà occupa un luogo centrale nel pensiero dell’autrice. Un articolo apparso su Chiasmo Magazine a cura di Laura Cocciolillo e Livia Fierro mette perfettamente a fuoco questo aspetto: «Il libro racconta la storia una donna che accresce la sua autoconsapevolezza: è il racconto dell’esperienza di molte donne, seppure la sua sia molto estrema; è il ritratto della depravazione degli ambienti dell’industria creativa. Tea Hacic ci mostra con chiarezza che le depravate non sono le troie, ma i fotografi in giacca e cravatta». Insomma, il libro di Tea Hacic si può leggere su piani diversi e offrirsi a numerosi approfondimenti: da un lato potete trovare quello che un borioso professore di italianistica chiamerebbe un antiromanzo di formazione, dall’altro un piccolo manifesto di femminismo contemporaneo che parla in maniera provocatoria e scorretta di sessualità, sex work e altri hot topic disseminati nel testo. Si consiglia quindi una lettura priva di pregiudizi personali e libera, soprattutto se volete scoprire come la sfida a resistere in tram senza vomitare con il doposbronza riesca a trasformarsi in una sorta di missione femminista da portare a termine per il bene delle proprie sorelle.


Photo credits:
Jules Wood

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