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Storia di un mito contemporaneo. James Bond, 11 novembre 1920 – 31 ottobre 2020



Uno

Londra, fine anni Sessanta. Da sempre John Pearson, giornalista e biografo, adora le avventure di James Bond. E conosce bene anche il loro creatore, Ian Fleming, un agente di borsa diventato giornalista, poi agente segreto, poi ancora giornalista, e infine scrittore. È infatti stato suo assistente al Sunday Times, e nel 1966 gli ha dedicato un’importante biografia. Per quel lavoro Pearson riceve uno stuolo di lettere. Si tratta spesso di fanatici. E proprio tale sembra essere la signora Maria Künzler, che scrive da Vienna, e ricorda un inverno del 1938 passato con Fleming a Kitzbühel. I dettagli sono plausibili, le figure evocate pure, e in effetti Fleming ha passato del tempo a Kitzbühel per imparare il tedesco, e già che c’era, a sedurre fanciulle di bell’aspetto. Eccone forse una, nostalgica come è ovvio di quell’incontro.

Nulla di speciale insomma nella lettera, se non contenesse, in chiusura, un riferimento a James Bond. No, non si tratta di un riferimento ai romanzi o ai film, che da qualche tempo hanno fatto del personaggio un fenomeno di costume. No, il riferimento è proprio a Bond, a un giovane James che nel 1938 accompagnava Fleming sulle nevi alpine. Sorpresa! James Bond è dunque davvero esistito? Non è cioè un semplice personaggio, e specificamente un doppio, un alter ego di Ian Fleming, come Pearson ha sempre ritenuto? E non è neanche un parto combinatorio delle esperienze, delle figure che Fleming aveva incontrato nella sua carriera di spia e giornalista? Un po’ insomma derivato da un Capitano dei Royal Marine Commandos, un po’ dal fratello che Fleming idolatrava, un po’ dall’agente doppiogiochista, James Morton, che Fleming conosceva a fondo?
Insomma: quasi certamente Maria Künzler è una mitomane, ma l’ipotesi merita una verifica. Tanto più che pochi mesi dopo, alla sua morte, Maria Künzler lascia a Pearson una fotografia di quell’inverno del 1938 che la ritrae con Fleming e Bond. Scattano così le prime indagini, con la verifica del registro degli ammessi al college di Eton. E spunta un James Bond che è effettivamente entrato a Eton nel 1933, salvo però non lasciare alcuna traccia di sé. L’archivio del college è privo di alcun documento su di lui o sulla famiglia. Il che è ben strano. Solo alcuni compagni di studio, contattati, ne conservano un ricordo sbiadito.

La dichiarazione di una defunta, una foto e un silenzio sorprendente negli archivi scolastici: questi sono gli elementi in mano a Pearson. Sono pochi ma significativi, evidentemente, se un certo Mr. Hopkins, del Ministero della Difesa, contatta il biografo e lo invita ad abbandonare immediatamente le indagini. Non insista, lasci perdere; non è il caso di andare in cerca di guai. Ecco, proprio come nelle migliori storie d’azione, la conferma che qualcosa di vero c’è. Seguita a breve da una svolta, quando Pearson viene convocato da un altro ufficiale, che si scusa per le minacce di Hopkins. Con nonchalance conferma che sì, Bond esiste eccome. La notizia sconvolgente è che non solo il quartier generale dei servizi segreti non nutre animosità nei suoi confronti. Al contrario, vogliono che scriva la biografia di Bond, che lo incontri per raccogliere la sua storia, per raccontare quella verità che la scrittura di Fleming, e poi i film e il successo planetario, hanno inevitabilmente annebbiato. Ecco, questo è il biglietto aereo per le Bermuda, dove Bond l’attende. No, non ha il volto di Sean Connery.

Bond

Due

Il volume che Pearson pubblica nel 1973 sarebbe l’esito di quell’incontro alle Bermuda fra l’agente 007 e il biografo di Fleming: James Bond: The Authorised Biography è, come dice il sottotitolo, niente meno che la biografia autorizzata dell’agente segreto, lo sguardo ufficiale all’esperienza privata dell’icona anni Sessanta. E in effetti il lavoro compendia e arricchisce quanto indicava il necrologio riportato da Fleming in You Only Live Twice. Bond nasce in Germania nel 1920, da padre scozzese, Andrew Bond, e madre svizzera, Monique Delacroix. Studia all’estero, dove apprende perfettamente tedesco e francese. I genitori muoiono in un incidente alpinistico, e viene allevato da una zia, Charmian Bond, vicino a Canterbury, in Inghilterra. A 12 anni si iscrive al college di Eton, che è costretto a lasciare due anni dopo per aver sedotto una cameriera. Prosegue gli studi nella scuola paterna, al Fettes College di Edimburgo, e nel 1941 entra nella Marina britannica, dedicandosi allo spionaggio. Alla fine della guerra è comandante, e prosegue il suo impegno al servizio della regina. Si sposa nel 1962, con Teresa Draco, ma il matrimonio si conclude tragicamente.
Questo è quanto veniva rievocato nel necrologio, che pure dava conto, in un brillante gioco metafinzionale, della «pubblicità concessa ad alcune [sue] avventure, soprattutto dalla stampa straniera», vi si legge, che «aveva fatto di lui, sia pure controvoglia, un autentico personaggio da romanzo. Fu quindi inevitabile – prosegue il necrologio – la pubblicazione di una serie di libri sensazionalistici scritti sul Comandante Bond da un suo amico ed ex collega». Ora, si parla di sensazionalismo, appunto: che la veridicità dei romanzi sia a dir poco dubbia, osserva la nota, è testimoniato dal fatto che Bond non sia stato processato per tradimento di segreti di stato. Nella biografia autorizzata, peraltro, si suggerisce un’altra chiave: che cioè la veridicità dei romanzi sia estrema, e intesa a nascondere la verità nell’evidenza, spacciandola per finzione. L’obiettivo era cioè gettare i sovietici nella confusione, mettendo il vero nel romanzesco.

A essere confusi non sono solo i sovietici, va detto. Abbiamo infatti fra le mani uno strano volume, che a sua volta si fonda su uno strano epitaffio all’interno del penultimo romanzo di Bond scritto da Fleming. Si tratta di una biografia, ossia di una storia individuale legata a un’autenticità d’esperienza e alla fattualità storica? Oppure è un romanzo, trasformazione di materiale umano ed esperienziale in materia onirica e immaginaria? E quel necrologio, è pura invenzione? Racconta però cose vere come i romanzi di Fleming e la popolarità di Bond. Che i romanzi siano in realtà molto meno inventati di quanto si pensa? In apertura di Dalla Russia con amore, del resto, si incontra una nota in cui si sostiene che «la maggior parte dei retroscena di questa storia è esatta». Qual è, insomma, il rapporto fra reale e finzione, in Bond e nel suo racconto? Cosa è, la biografia autorizzata di Bond? È un racconto di finzione di una figura autentica, o un racconto autentico di una figura d’invenzione?
Quella biografia è entrambe le cose, o meglio, è una forma di narrazione sospesa fra realtà e invenzione, fra realtà romanzesca e finzione realistica. Pensandoci, è questo paradosso, è questa tensione sospesa che può dare testimonianza, corpo reale e veritiero, a un personaggio che non è solo il protagonista di una serie di romanzi. Bond non è solo il protagonista della saga letteraria e cinematografica più longeva della nostra storia culturale. È fra i pochi personaggi letterari del secondo Novecento a essere, per così dire, uscito dai romanzi, ad aver acquisito uno statuto autonomo. Al pari di figure della mitologia moderna come Dracula, il mostro di Frankenstein o il Grande Fratello, 007 è sopravvissuto al suo autore, è sconfinato dalla testualità e dalla lingua in cui si è generato, ha popolato il cinema e i media più diversi, è pienamente entrato nel linguaggio e nell’immaginario. Nel suo caso non è un azzardo scomodare una categoria barthesiana, per indicare in lui un mito contemporaneo.
La sua data di nascita è l’11 novembre 1920. Sì, 11 dell’11. È la dozzina del diavolo. La data perfetta per una spia, per la spia più famosa di tutti i tempi, per colui che, con il suo sguardo enigmatico, incarna il principio del duplice. O meglio, del molteplice.

Tre

Proprio come il diavolo, proprio come i miti, proprio come un agente segreto, l’identità di James Bond è polimorfa. Ecco allora che le nascite, i punti d’origine, sono molteplici. Per l’anagrafe, la biografia ufficiale indica l’11 novembre del 1920; più recentemente, in uno studio approfondito della cronologia bondiana svolto da John Griswold, l’anno è posticipato al 1921. E non mancano altre ipotesi, basate sui romanzi di Fleming, che ne spingono la nascita fino al 1924. Ma il personaggio che conosciamo è l’agente segreto 007: la sua nascita può coincidere con il momento in cui, attraverso l’uccisione a sangue freddo di due traditori, ottiene il doppio zero e la licenza d’uccidere. Ecco, si può forse davvero iniziare a parlare di molteplicità.

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Ma procediamo con ordine. Quello che nasce nel 1920, o nel 1921, o nel 1924, è il personaggio che appare nel primo romanzo di Ian Fleming, Casino Royale del 1953, e che si inscrive nella tradizione britannica dello spionaggio. Casino Royale offre un’immagine tutto sommato atipica di Bond, è infatti il prologo, o meglio il romanzo della genesi di James Bond; narra la nascita, per così dire, del Bond che conosciamo. In Casino Royale Bond, fresco di nomina come doppio zero, è per certi versi infantile, è sicuramente indeciso sulla “natura del male” e incerto sul senso stesso della propria missione. Si innamora di Vesper Lynd, tanto da proporle il matrimonio e un’esistenza ritirata, “in borghese”.
L’azione del romanzo è in verità molto semplice, e non conduce Bond in alcun posto esotico. Al contrario, lo porta in un luogo in cui, dice l’apertura del romanzo, dopo qualche ora l’odore di fumo e sudore diventa intollerabile. La missione di Bond lo impegna attorno a un tavolo da gioco al casinò di Royale Les Eaux, sulla costa nord della Francia, in una partita di baccarà in cui Bond dovrà rovinare economicamente l’avversario, Le Chiffre, per screditare la rete filosovietica di cui è tesoriere. Bond vince al gioco, viene rapito, torturato, e paradossalmente salvato dalla SMERSH, l’ente del servizio segreto sovietico che elimina i traditori, che interviene a giustiziare Le Chiffre. L’azione dinamica è dunque semplicissima: un attentato che accoglie Bond al suo arrivo al Casinò, la partita di baccarà, il rapimento della fanciulla, la cattura di Bond, la morte del cattivo. Nella sua scarna semplicità, questa sequenza compone a dire il vero la struttura narrativa che si modulerà negli undici romanzi successivi; i protagonisti e i ruoli, così come le coppie oppositive, farà notare Umberto Eco nel 1965, ci sono già tutti, e a buon titolo si può parlare di questo romanzo come del romanzo che definisce la formula di Bond. Insomma: se James Bond nasce l’11 novembre 1920, il Bond che conosciamo è concepito il 17 febbraio 1952, quando Fleming inizia a scrivere Casino Royale per distrarsi dalla prospettiva di matrimonio che lo attende; e Bond nasce il 13 aprile 1953, quando appare in libreria il resoconto della sua gestazione.

Quattro

Casino Royale, lo abbiamo visto, dà origine a una macchina seriale. Dopo undici romanzi, e due volumi di racconti, alla sua morte nel 1964 Fleming ne lascerà l’eredità a Kingsley Amis, poi a Christopher Wood, e soprattutto a John Gardner e Raymond Benson, che nell’arco di trent’anni dedicano a Bond altrettanti romanzi, prima di passare il testimone a Sebastian Faulks e a Jeffrey Deaver. Già prima di morire, però, Fleming aveva visto la sua creatura riprodursi in altri media, e diventare progressivamente un fenomeno di massa e un’icona contemporanea. Un anno dopo l’uscita in libreria, Casino Royale diventa un film per la televisione, un film americano per l’esattezza, in cui James Bond si trasforma in un agente statunitense, Jimmy Bond. Nel 1958, 007 diventa un fumetto, una striscia che appare sulle pagine del Daily Express, con disegni di John McLusky. Il volto che riceve Bond nel fumetto finisce con il determinare la scelta, nel 1961, di Sean Connery come interprete del primo film tratto dai romanzi di Fleming.
Dr. No, noto in Italia come Licenza d’uccidere, esce il 5 ottobre 1962, e sancisce la metamorfosi di Bond in un emblema del desiderio, in un vero e proprio fenomeno di costume, che popola le fantasie vicarie di tutto il mondo, di uomini e donne che sognano di essere come lui o di averlo al proprio fianco, raffinato ma energico, trasgressivo e rassicurante.

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Nasce qui il mito di Bond, insomma; non a caso, non nasce con Casino Royale, ma con il personaggio maturo del sesto romanzo della serie, e con gli elementi spettacolari che ne saranno i segni distintivi. Licenza d’uccidere ha un’ambientazione propriamente esotica, l’isola di Crab Key, dominata dal Dr No, un meticcio cino-tedesco con pinze d’acciaio al posto delle mani. Qui Bond incrocia il proprio destino con Honeychile Rider, l’ingenua, sensuale fanciulla giamaicana interpretata da Ursula Andress in un bikini che ha fatto epoca.
Il successo del film, e l’idolatria che accoglie due anni dopo Missione Goldfinger, segnala la trasformazione di un personaggio letterario in una vera e propria industria. L’autunno del 1964 è il momento in cui scoppia la cosiddetta “Bond-mania”, fenomeno d’intrattenimento globale, in cui l’agente 007 affianca i Beatles e i Rolling Stones come strumento attraverso cui la Gran Bretagna riconquista ironicamente quel mondo che, con la fine dell’Impero, ha perduto. Lo farà appunto grazie anche a Bond: l’agente 007 diventerà infatti uno strumento pubblicitario non solo di prodotti come lo champagne d’annata, il bourbon, il vodka-martini “agitato, non mescolato”, le auto, gli orologi, i rasoi, ecc. Diventerà un testimonial d’eccezione per una immagine di glamour britannico in cui si agita una ideologia certamente maschilista, omofoba e razzista, al servizio del regime conservatore della Regina d’Inghilterra. Una figura tanto più efficace nel suo ruolo ideologico perché d’improvviso lo spionaggio diventa un modello d’identità, un gioco collettivo per grandi e piccini. E a rafforzarne l’incisività nascono numerosi, infiniti, gli epigoni di Bond: solo nel 1965 appaiono negli Stati Uniti oltre cinquanta film di spionaggio. E poi telefilm, giocattoli, canzoni. Da quel momento, Bond lo si trova ovunque.

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Anche qui si può parlare insomma propriamente di una nascita di Bond a un diverso ordine d’esistenza, quella di mito contemporaneo.
E riecco, non a caso, il romanzo della nascita di Bond, Casino Royale. La versione cinematografica del romanzo d’esordio appare il 13 aprile 1967, ma non è parte della produzione ufficiale di Albert Broccoli e Harry Saltzman. È una parodia che ha poco a che fare, nei temi, con il romanzo. Il film, sceneggiato a dieci mani, con cinque registi e attori del calibro di David Niven, Peter Sellers, Orson Welles, John Huston, Charles Boyer, Barbara Bouchet, William Holden e Woody Allen, è una parodia psichedelica e delirante, un vorticoso pastiche di cliché personaggi e situazioni dell’agente 007, in cui un anziano Bond è spinto a rientrare in servizio e a ridenominare tutti gli agenti segreti “James Bond” per gettare il nemico nella confusione. Ecco, nel lunapark sgangherato del Casino Royale apocrifo troviamo la versione beffarda della nascita del “mito Bond” e del suo trionfo polimorfo: se la minaccia è «too much for one James Bond», troppo per un solo Bond, come recita lo slogan promozionale del film, che tutti, uomini e donne, diventino ora Bond. E provate voi a non andare in confusione.

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