Camera Obscura

Il demone in ogni cosa. Dentro la poesia plastica di Giorgio de Chirico

De Le Muse inquietanti di de Chirico avevo il ricordo di un riquadro sbiadito su un vecchio libro di storia dell’arte. Da quella visione sfocata, però, traspariva nitida la sensazione di inquietudine che trasudava dal dipinto; qualcosa di disturbante e tremendamente famigliare. La stessa sensazione rivissuta durante la sua mostra, tra le mura di Palazzo Reale a Milano. In quell’occasione, ho avuto modo di carpirne appieno il significato. Tra le pieghe dei suoi drappi marmorei, le cuciture dei suoi manichini e le ombre delle sue arcate dalle prospettive destrutturate, si celava un mondo di parole a me sconosciuto, dove la poesia si fondeva con la prosa per creare quella dimensione metafisica tanto amata da de Chirico: La casa del poeta.

La casa del poeta, a cura di Andrea Cortellessa ed edito da La nave di Teseo nel 2019, è il volume che contiene la produzione poetica e in prosa di Giorgio de Chirico tra il 1911 e il 1942, in parte inedita fino alla pubblicazione del testo. I brani, accompagnati dal testo a fronte in francese e da alcune opere dell’artista, fungono da guida lungo il percorso metafisico compiuto da de Chirico. Solo dopo la loro lettura ne ho colto l’importanza essenziale per intraprendere il viaggio attraverso le immagini plastiche del pittore, le quali si fondono e si riplasmano nelle sue parole, altrettanto affascinanti ed evocative.

De Chirico

Le Muse inquietanti è considerato il «manifesto» della poetica metafisica del suo autore, in quanto può fornirne anche una efficace chiave di decifrazione.
Partendo dalla vacuità degli elementi architettonici di de Chirico, o dall’immobilismo dei suoi manichini e delle figure umane disantropomorfizzate, si ha come l’impressione che il tempo si sia interrotto in quel preciso istante, come in una fotografia. De Chirico esprime chiaramente il suo concetto spazio-temporale al suo mentore del periodo parigino, Guillaume Apollinaire, in una lettera del 1916: « […] il tempo non esiste […] sulla grande curva dell’eternità il passato è uguale all’avvenire».

De Chirico
Le Muse inquietanti, Giorgio de Chirico

In una fotografia di de Chirico, contenuta nell’introduzione de La casa del poeta, il pittore-poeta ci appare all’età di sei anni, espressione seria e un cerchio tra le mani. Lo stesso cerchio ricorre come leitmotiv in diverse sue opere, tra cui Mystère et mélancolie d’une rue del 1914, dipinto in cui una bambina rincorre un cerchio poco prima di entrare in uno spazio scuro molto vasto che cela un carro vuoto, mentre si intravede l’ombra di una statua nascosta tra due portici colonnati; «spettri di un tempo-fuori-del-tempo che, all’improvviso appaiono nel nostro», scriverà Cortellessa.

Il cerchio di de Chirico strizza l’occhio al concetto di circolarità temporale nietzschiana, la mancanza di un vettore lineare del tempo, una sorta di loop, in cui gli eventi si susseguono vertiginosamente nel «cortocircuito fra passato e futuro: la sensazione del presagio». Tale presagio angosciante è espresso magistralmente nella poesia L’ora inquietante, anche titolo di una delle sue più celebri opere su tela, in cui de Chirico rappresenta il tempo immobile e congelato in cui «anche l’immortalità è morta / in quest’ora senza nome sui quadranti / del tempo umano».

De Chirico
Mystère et mélancolie d’une rue, Giorgio de Chirico

Questa ciclicità temporale infinita viene enfatizzata dalla contemporaneità di differenti prospettive all’interno dei suoi quadri. Ma la rottura prospettica non fa riferimento solo all’aspetto spazio-temporale, funge anche da tecnica di straniamento brechtiana nei confronti della realtà, che ci ricorda de Chirico con le sue Muse essere un grande palcoscenico. Dietro al velo della finzione fenomenica si cela il reale, che, al contrario di quello descritto da Schopenhauer, non è mosso dal principio di causalità. Vengono quindi qui a mancare i rapporti di causa-effetto, che de Chirico rende perfettamente attraverso l’accostamento di elementi distonici e prospettive mancate, dai colori brillanti stagliati contro cieli plumbei.

Il poeta-Genio si fonde con il pittore che, come l’artista nietzschiano, comprende l’illusione del reale con serena consapevolezza, in de Chirico racchiusa nel concetto di enigma, gioia e malinconia dell’esistenza: «Vita, vita, grande sogno misterioso! Tutti gli enigmi / che tu mostri; gioie e bagliori […]. Sempre l’incognito; il risveglio al mattino e il sogno che si / è fatto, oscuro presagio, oracolo misterioso…».

In De Chirico poeta di Paolo Picozza, contenuto ne La casa del poeta, egli sottolinea come in Giorgio de Chirico «l’esercizio creativo della scrittura diventa metafora di viaggio senza fine di cui il pittore-poeta si fa esploratore». Come esprime nel suo romanzo Hebdòmeros, senza tempo e senza luogo, la trama rompe ogni rigidità logica e si risolve nel mistero, nell’enigma, appunto. «Lo stesso mistero che nei dipinti dell’artista si cela dietro un’ombra o l’allegoria semplificata di un concetto complesso che trascende la realtà delle cose. Il poeta non ha tempo e si trova sia dietro sia oltre il confine della fisicità: ne comprende la sostanza metafisica».

De Chirico

Da qui, altro tema caro al pittore: quello del viaggio inteso come esplorazione della realtà, soprattutto interiore. Ce lo ricorda il treno, elemento costante dei quadri di de Chirico, simbolo del padre, ma anche del suo animo itinerante. Nella sua prosa Zeusi l’esploratore, de Chirico ci rammenta: «Amici, bisogna ancora partire, bisogna ancora sussultare sotto l’angoscia del mai visto». Riguardo questo punto, Cortellessa propone un parallelismo interessante tra la figura dell’esploratore e quella del sopravvissuto, contenuta nell’enigmatica prosa del poeta-pittore Le survivant de Navarin, ma anche in alcune delle poesie di de Chirico, nelle quali si scorge un’identificazione nell’Antico marinaio di Coleridge, che deve proseguire il suo percorso da sopravvissuto con la consapevolezza straziante della verità, legame dal quale non può esimersi: «In una barca nera come una bara fra due ponti lividi mi ero addormentato […] Silenzio, rumori sordi della mia anima. Ricordi, ricordi, sciabordavano sui fianchi scuri della nave. E tutti i bassorilievi del mio spirito apparivano sotto la luce dei lampi».

Due indizi mancano all’appello dell’enigma delle Muse: la ciminiera rossa e l’elemento architettonico geolocalizzante. In Zeusi l’esploratore sono contenuti due celebri aforismi di stampo schopenhaueriano e nietzschiano, sposati appieno da de Chirico, in quanto la sua missione resta quella di «scoprire il dèmone in ogni cosa» e di «scoprire l’occhio in ogni cosa», tramite le due arti sorelle, complementari: la pittura e la poesia, che si completano in rapporto paritetico, dando vita a veri e propri Valori Plastici, rivista omonima in cui è contenuta la prosa dell’esploratore. Un esempio di tali forme a priori cariche, però, di significato, ci è dato dalle immagini di Malinconia: «[…] Bellezza delle lunghe ciminiere rosse. / Fumo solido. / Un treno fischia. Il muro. / Due carciofi di ferro mi guardano. / Avevo uno scopo. La bandiera non garrisce più. / Felicità, felicità, ti cerco».

L’elemento architettonico, emblema delle città metafisiche attraversate da de Chirico: frammenti e statue di classicità greca, il castello degli Estensi delle Muse, le piazze d’Italia. Il tema della partenza e del ritorno, così come quello legato alla vita delle città (periodo fiorentino e periodo parigino), non può mai escludere in de Chirico, secondo Cortellessa, «una matrice storica e traumatica: seppure, al solito, trasfigurata dal mito». Si scorge perfettamente, nella plasticità poetica e nella poesia plastica di de Chirico, una minaccia incombente, spesso ricongiungibile a quella bellica vissuta dall’artista metafisico. Si rivolge a I vecchi Dei, diffidando dalla modernità effimera, per mezzo di versi che suonano come un preludio al mondo distopico di Philip K. Dick: «Ho visto gli uomini entrare ed uscire / dalle loro case, / ho visto germogliare e spandersi / dolci fioriture. / Ho conosciuto le grandi leggi, / leggi che si definiscono con il numero. […] Ma ora ovunque rugge la vita vagabonda / ovunque i relitti dei naufragi / galleggiando sulle onde…»




Photo credits: Piazza d’Italia, Giorgio de Chirico