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Tornare al paesaggio. Ernesto Anderle e l’arte «di ciò che resta»

La fragranza del legno dei boschi del Trentino, il profumo di un cesto di funghi appena raccolti, il calore della stufa che ti accoglie sulla soglia di casa, la sensazione della terra tra le pieghe delle mani.
Le immagini rievocate dai racconti illustrati di Ernesto Anderle hanno il sapore di quella autenticità persa e ritrovata sorseggiando una tazza di caffè, mentre si osserva un paesaggio di montagna che ti ricorda di essere «solo un punto in confronto all’imponenza della natura».

«È così che mi piace pensare a me stesso», aggiunge Ernesto, mentre racconta il significato delle sue scelte e delle sue creazioni all’insegna della verità, della vita di campagna e del mondo contadino, perché «il meglio è poter assaporare un frutto, pensando solo al frutto e a nient’altro». Con queste parole Ernesto Anderle, artista poliedrico e fumettista contemporaneo, ci introduce alla sua realtà fatta di immagini, suoni e parole, concrete ed essenziali, che permettono ancora di sognare e apprezzare le «piccole cose».

L’inizio del suo percorso formativo risale ai tempi delle scuole medie, quando il suo professore di educazione artistica sottopone alla classe un esercizio tanto semplice quanto efficace: un foglio bianco con un solo scarabocchio da cui partire per creare un disegno personale. Ed ecco il seme della fantasia di Ernesto che comincia a sviluppare le radici in un terreno decisamente fertile.
«Mi ricordo di aver disegnato un topo con un pezzo di formaggio, ma soprattutto la folgorazione derivante da quell’esercizio, che mi ha aperto la mente», e continua, «successivamente, nello studio di mio padre, restauratore di quadri, mi trovai tra le mani un libro di Egon Schiele. Ho iniziato a disegnare imitando lui; mi ha fatto prendere in mano la matita e il foglio, ne apprezzavo l’essenzialità e quanto potesse raccontare una semplice linea».

Anderle

Proseguendo il racconto, Ernesto riconosce che l’Accademia di Belle Arti di Brera sia stata più che altro una sottrazione per lui, una dispersione di tempo ed energia, dovuta alla molteplicità di artisti e idee che gli si paravano davanti, creando una profonda confusione che non gli permetteva di esprimere il suo vero sé, offuscato o inquinato dai continui stimoli esterni. Parla di una sorta di finzione esistenziale, carica di superfluo, «un po’ come l’onda della canzone Rip Tide dei Beirut che, quando si ritrae, porta via dalla spiaggia quasi tutto ciò che trova. Ecco, ciò che resta è la mia idea di mondo». Ed è proprio quell’onda a spingere Ernesto ad allontanarsi dall’ambiente cittadino, alienante e soffocante, per incontrare quello rurale, privo di tutte le sovrastrutture che caratterizzavano il grande castello di sabbia in cui aveva vissuto e che si stava sgretolando pezzo dopo pezzo.

Riaprirà il capitolo milanese più avanti, solo quando avrà «fatto pace con il passato» e ritrovato se stesso nell’autenticità degli elementi semplici, in quella verità che traspare dal gusto essenziale dei suoi lavori. Sarà solo a quel punto che riprenderà in mano il foglio e la matita, ripartendo proprio da quella linea semplice dei quadri di Schiele, che lo aveva tanto ispirato.

La stessa linea darà vita a Roby il pettirosso, il primo vero protagonista delle vignette acquerellate di Ernesto. «L’idea iniziale era quella di disegnare un cane con un berretto, ma i risultati non mi soddisfacevano. Poi, alzando gli occhi dalla tazza di caffè che sorseggiavo davanti alla finestra della cucina, ecco la manifestazione dell’autentico essenziale: un cerchio, quattro linee spezzate e un paio di colori che caratterizzavano istantaneamente il personaggio». Nasceva così Roby il pettirosso. Ernesto ci racconta com’è riuscito a raccontare se stesso attraverso le immagini che si creavano nella sua mente dopo l’ascolto di un brano, la lettura di un libro, o la visione di un film; suggestioni che lui riporta nei suoi disegni non solo per raccontare quelle stesse storie, ma per arricchirle di particolari, darne una sua interpretazione e crearne di nuove.

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Il personaggio di Vincent Van Love nasce, invece, da una diversa necessità: quella di dare una risposta alla xenofobia dilagante e all’emergere di movimenti neofascisti di quest’ultimo periodo. «Al contrario di quanto si pensi», spiega il fumettista, «Van Gogh era una persona molto solare e piena di amore, che non riusciva però a trovare un canale di sfogo e una sintonia con le persone, che puntualmente lo allontanavano. Spesso sono due i termini con i quali viene definito il pittore olandese: pazzia e depressione. Questa convinzione popolare cade dinnanzi alle lettere scritte al fratello Theo, in cui si evince quanto amasse le persone, nonostante lo emarginassero».

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Il fil rouge tra il libro su Van Gogh e Ridammi la mano. Fabrizio De Andrè (BeccoGiallo Editore, 2019) è l’elemento naturalistico, tanto caro anche a Ernesto. La differenza sostanziale è quella di voler raccontare «più l’artista e meno l’uomo», quindi le storie dei suoi versi musicali, il ritorno alle origini, il lavoro della terra. Resta l’impronta inconfondibile dell’acquerello, riscoperto nel fumetto, che ha consentito all’artista di apprezzare l’imperfezione della tecnica. Come l’acqua, infatti, il disegno può seguire percorsi imprevedibili, estremamente difficili da controllare.

Altro autore molto apprezzato e illustrato da Ernesto Anderle è Giacomo Casanova. Passato alla storia come il celebre rubacuori, è in realtà un personaggio riflessivo e incompreso. «Mi ha insegnato molto», ci confida Ernesto, «soprattutto a essere padrone di me stesso, concetto che esprime bene nel racconto della sua fuga dai Piombi. È rischioso e implica una grande forza mentale, perché sia in caso di successo, sia in caso di sconfitta, ti costringe alla lucida consapevolezza della scelta e alla responsabilità che scaturisce dalle tue azioni».

È proprio da Casanova che si genera una delle fibre che costituiscono la coperta di Linus di Ernesto Anderle: quella dello spirito di adattamento, intrecciata indissolubilmente con il filo della curiosità. «La stessa curiosità che ti permette di scoprire nuove versioni di una stessa storia, commistione di immagine ed emozione, che sfocerà in qualcosa di unico e diverso. Quel qualcosa che ti rende padrone di te stesso e ti permette di scorgere quel che resta».

Ⓒ Disegni forniti da Ernesto Anderle

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