Nelle diatribe quotidiane tra chi adora il proprio cane e chi non ammette animali in casa, tra vegani convinti e mangiatori di bistecche, tra attivisti per l’ambiente e consumatori di prodotti confezionati in materiali non biodegradabili, c’è una radice di fondo: per decisione consapevole o per impulso istintivo, stabiliamo che ci sono cose per noi importanti e altre meno, persone e creature degne di attenzione e altre no. «Diveniamo insensibili ad alcuni per dare ogni cosa a chi abbiamo scelto», sintetizza Francesca Matteoni in Animali, custodi di storie, edito da Nottetempo. Leggere questo libro apre una lunga e variegata riflessione sull’opportunità di ampliare il confine di sensibilità che dà ragione alle nostre scelte di vita.
Matteoni ricorda la sua infanzia fatta di esplorazioni delle campagne pistoiesi e racconta i suoi viaggi zaino in spalla in giro per il mondo con l’obiettivo di contemplare paesaggi incontaminati e visitare oasi protette. La sua spiccata attrazione verso ogni creatura vivente la porta a empatizzare tanto con aironi cenerini selvatici quanto con orsi cresciuti in cattività, sia con lontre appena intraviste in panorami sconosciuti che con gatti divenuti fedeli compagni di un pezzo di vita. Il suo background di poetessa e studiosa di folklore la spinge a selezionare tra le sue letture – romanzi, saggi, poesie, fiabe e leggende – quelle storie che di quegli stessi animali mettono in luce le somiglianze con gli esseri umani. Seguendo questo doppio filo, personale e culturale, con una scrittura onesta quanto quella di un diario, indaga sul legame profondo e tutt’altro che gerarchico che intravede tra creature viventi.

Per esempio, gli scoiattoli, paragonabili ai folletti delle fiabe, hanno quella curiosità e quell’agilità nei movimenti che non può che riscuotere simpatia, non può che strappare un sorriso in chi li scorge arrampicarsi su un albero o mangiare una noce. Eppure, da qualche anno a questa parte, questa benevolenza non è riservata allo scoiattolo grigio. Originario del Nordamerica e introdotto per la prima volta in Inghilterra alla fine del XIX secolo da un banchiere ignaro delle ripercussioni devastanti di questa scelta, si è adattato agli habitat già popolati dallo scoiattolo rosso europeo e, più resistente e adattabile, ha finito con il prenderne il posto, riducendone drasticamente la diffusione. Finito in un nuovo ambiente per una sconsiderata azione umana, ha ora su di sé l’etichetta di specie aliena, e la reputazione di animale che sconfina in territori non suoi e che uccide altri simili per la sopravvivenza. In pratica, allo scoiattolo grigio sono state attribuite quelle intenzioni di invasione e sterminio che hanno sempre caratterizzato il colonialismo umano.
Questo meccanismo di umanizzazione è in parte comprensibile: gli animali sono sempre stati uno specchio dell’essere umano, simboli viventi dei vizi e delle virtù che lo caratterizzano, o a volte emblema di uno stato di purezza alla quale occorrerebbe tornare per risolvere ogni problema e pacificare ogni conflitto. Ma Matteoni mette in guardia da questo tipo di scorciatoia. La storia dell’orsa Masha, cresciuta in cattività in un circo, sottoposta per anni a un addestramento crudele e ormai incapace di vivere secondo cicli naturali, suscita commozione, tristezza e sensi di colpa. La vicenda dell’orsa JJ4, responsabile della morte di un ragazzo in Trentino, è invece argomento di polemiche accese, di accuse contro un sistema che dovrebbe tutelare le persone prima ancora che preservare una specie animale. Un’orsa vittima innocente della crudeltà umana da compatire, un’orsa assassina di un umano innocente da condannare: due facce della stessa medaglia, che vanno entrambe prese in considerazione.

«Camminare fino all’animale comporta una spoliazione di tutte le intenzioni. Capire che cosa cerchiamo di noi, per poi cercare davvero loro». E quando gli animali «non si comportano come vorremmo» e mettono in luce la condizione incerta e precaria degli esseri umani, non distogliere lo sguardo. Indagare in questa precarietà significa per Francesca Matteoni imparare che nel mondo le ragioni degli esseri viventi possano essere in conflitto l’una con l’altra, e sopportare che questo accada senza che ci sia una causa giusta e una sbagliata, una parte buona e una cattiva. Significa allenarsi a «salvaguardare la contraddizione», a rifiutare ogni semplificazione, prima tra tutte quella per cui l’essere umano abbia ragione su tutto e tutti. Significa mettersi nei panni degli altri, non solo delle persone ma di tutti gli esseri viventi che ci stanno accanto e riconoscere nel loro sentire e, soprattutto, nel loro soffrire, un sentire e un soffrire simile al nostro, o quanto meno che ha altrettanto valore. E questo non per illuderci di poter creare l’utopia di un mondo non violento: «Non si tratta di uccidere o non uccidere, perché la violenza è un elemento fondante del modo in cui sopravviviamo. Si tratta del più ampio riconoscimento del dolore di tutto quanto esiste e del tentativo di non esserne una causa maggioritaria».
Con Animali, custodi di storie, Matteoni invita con passione a metterci in discussione, a sentire che forse il passaggio a una nuova, più ampia sensibilità, capace di estendersi al pianeta e tutte le creature che lo abitano, è possibile. Se quell’idea di umanità, intesa come comprensione del dolore altrui, è quanto di più prezioso abbiamo conservato e difeso nella nostra storia, è forse venuto il momento di arricchirla di senso, provando a trasformarla in un sentimento, stavolta davvero, universale.