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Julien Torma, al cuore della ’Patafisica

Sulle tracce dell’autore che fugge al mondo, alla letteratura, alla poesia e anche a se stesso

Né uomo di lettere né poeta (lui stesso nega uno e l’altro), avventuriero, un po’ furfante, cinico, come Rimbaud che ammira e a cui altre inclinazioni lo avvicinavano, Julien Torma, che lascia un’opera ampia ed eterogenea per un’esistenza così breve, approda ora in Italia, dove è completamente sconosciuto, merito di un numero speciale della rivista del CollAge de ’Pataphysique: il “Quaderno” n.15.
Ma chi è Julien Torma? Non lo si trova in nessuna antologia letteraria, o meglio è registrato dalla Biblioteca Nazionale di Francia come “pseudonimo collettivo” e “autore fittizio creato dal Collège de ’Pataphysique”. Ma alcuni scritti di Torma sono stati pubblicati molto prima della fondazione del Collegio nel 1948. Cosa pensare anche delle fotografie che lo rappresentano e, soprattutto, cosa dire della sua corrispondenza e amicizia con Max Jacob, Robert Desnos e il suo particolare rapporto con René Daumal? Come districarsi tra il sentito dire e la realtà, questa realtà che i patafisici dicono essere la soluzione più immaginaria di tutte? Perché sì, è proprio il Collegio in primis e ora il CollAge a impegnarsi per farlo conoscere. In Francia innanzitutto, dove il Collegio ha pubblicato molti dei suoi inediti a partire dagli anni Cinquanta e ha redatto la sua prima biografia in assoluto e più umilmente qui in Italia, dove il CollAge ha appena pubblicato il nuovo numero della sua rivista esclusivamente su Torma, che contiene numerose traduzioni in italiano e vengono inoltre indagati la sua vita, la sua scrittura, il suo teatro e i suoi rapporti con Jacob, Desnos e Daumal.

julien torma

Ma perché il Collegio ha eretto Torma a più grande patafisico della storia? La risposta risiede anzitutto nel suo porsi in retroscena nei confronti della sua opera e lo sfuggire quindi, con questa trappola, alla storia. Non dimentichiamo che per vocazione la ’Patafisica si prefigge di stare a margine della storia delle società, sapendo che le sue storielle non sono altro che effimere per definizione. Ma non è l’unico motivo: nella scrittura di Torma il verbo vive in virtù genetica del gioco di parola, anche se inevitabilmente genera chi lo preferisce. Torma fugge al mondo, alla letteratura, alla poesia e anche a se stesso consacrandosi «all’inesistenza, al gioco incessante che investe il pensiero, il verso, la parola, spinta all’estremo, l’immagine, il suono» scrive Szahara Ricci che ha tradotto in italiano alcuni Euforismi per la rivista CollAgiale; diventa conseguentemente chiaro che in questo fuggi fuggi si potrebbero confondere il pieno con il vuoto ma, possiamo esserne sicuri, qua il bicchiere è pieno e trabocca. «Vuoto e pieno in costante opposizione coesistono, formalmente e sostanzialmente, con alto e basso, grazie a una scrittura straniante, creativa, ricchissima di neologismi e giochi di parole e di suono, capace di vette sublimi e altrettanto profondi strapiombi»[1].

Intendiamoci, gli strapiombi non hanno niente a che vedere con delle cadute di stile. Sono le grafie sonanti di un linguaggio moderno, personale, semplice, ma di una semplicità, come la definiva Jarry, che «non ha bisogno di essere semplice, ma del complesso ristretto e sintetizzato»[2]. Una scrittura schietta, sincera che non risparmia niente e nessuno, neanche la letteratura stessa. A tal proposito è significativo l’apostrofo che Torma manda a Daumal nella lettera in cui critica la visione che il “gran giochiatore” aveva della scrittura jaryana: «Malgrado il tuo acume, caro René, sei affetto da bigottismo. Lasciami essere cattivo. Tu lavori di assoluto». Niente fronzoli, niente cortesie e neppure bon ton, quel che è da dire va detto e basta! Torma è intero, è integro. Ha vissuto mettendo in applicazione il Principio Patafisico di Equivalenza dei Contrari: «Non tanto con una preoccupazione pesantemente dimostrativa […] ma per la sua percezione visiva delle coincidenze e per l’accoglienza graziante che ha saputo dare alla casualità delle cose e delle parole»[3]. Questo è Julien Torma.

julien torma
Julien Torma nel 1931

Torma ha avuto una vita fisica, oltre a quella patafisica. Nasce a Cambrai, in Francia, il 6 aprile 1902 e sparisce il 17 febbraio1933 a Vent, nel cuore delle cime ghiacciate delle Alpi Venoste del Tirolo. Esattamente nello stesso modo in cui era apparso su questo pianeta e vi aveva vissuto, quasi in sordina, senza tanti saluti.
Rimasto orfano in tenera età, è stato allevato a Pontoise dal patrigno che pare amasse enormemente i giochi di parole. All’età di 17 anni conosce e diventa amico di Max Jacob, che inizierà a chiamare Mob Jacax non appena la loro relazione si interrompe. Fu Jacob a incoraggiarlo a scrivere e grazie al fedele amico Jean Montmort, conosciuto alla scuola di Battignoles, viene pubblicata la prima raccolta di poesie La Lampe Obscure (La Lampada Oscura), testo mistico che Torma rinnegherà presto.
Contemporaneamente inizia a lavorare alla pièce teatrale Le Bétrou, che rielabora e manipola regolarmente fino alla morte e che viene quindi pubblicata postuma[4]. È a partire dal 1922, poiché per sussistere svolge alcuni lavori notturni e a volte «poco ortodossi» nel quartiere delle Halles di Parigi, che frequenta gli ambienti artistici stringendo amicizia con René Crevel, Robert Desnos e Jean Vigo (senza mai appartenere ad alcun gruppo o movimento dell’epoca). È ancora grazie a Jean Montmort che, dopo il servizio militare nel 1925, la sua seconda raccolta Le Grand Troche viene pubblicata. Si tratta di una scrittura molto marginale, che deve sicuramente molto agli amici che aveva frequentato, ma d’altro canto, leggendola oggi, si avverte immediatamente perché avesse potuto catturare la loro attenzione. Coupures (Tagli), invece, è una tragedia teatrale in nove atti, stampata da Pédéprade per conto dell’editore Pérou nel maggio 1926. Un esemplare fu mandato a Desnos assieme ad una lettera[5] nella quale Torma confida che la pièce contenesse un “trucco”. A Jean Montmort dichiara infatti che «Coupures non è che un rammendo (nel senso di calzini) di Don Sanche d’Aragon» di Corneille.

julien torma
Julien Torma, disegno di Max Jacob, 1919

Dallo scambio epistolare intrattenuto con René Daumal nasce un dibattito prezioso per noi patafisici sul “riso”, che Torma non vede affatto in Alfred Jarry e nella ’Patafisica: «Il tuo patafisico ride troppo. E d’un riso eccessivamente comico e cosmico. Mettere una metafisica dietro la patafisica significa farne la facciata di un credo. Ora, il proprio della pat. è d’essere una facciata che non è altro che facciata, senza nulla dietro».
L’ultima pubblicazione che Torma vedrà da vivo sono gli Euforismi (dedicati all’amicizia con René Crevel). Anche qua, si tratta di un libro concepito e curato dall’amico Montmort (che ne paga pure le spese di stampa): una compilazione di note e osservazioni sparse «raccolte con il consenso dell’autore». Sebbene Torma li abbia «rivisti e talvolta ritoccati» essi raccontano tuttavia del suo profondo disinteresse per la parola scritta.
Seguono una serie di spostamenti che è difficile datare con precisione. Torma si trasferisce a Lille, poi a Cambrais, quindi furtivamente a Charleville, Douai, Rouen e Bruxelles… dove continua a scrivere quasi in segreto, senza più mostrare i suoi testi a nessuno. In alcune lettere afferma addirittura di non scrivere affatto.

Nel novembre del 1932 la sua salute peggiora e Montmort gli trova un incarico da precettore in Tirolo. Torma non vi si presenta e si reca a Salisburgo, poi in montagna, a Vent, dove scompare in un’escursione solitaria.
Di lui non si troverà mai traccia, e una tale scomparsa calca la forma di assenza che aveva sempre manifestato e intrattenuto. Va da sé che senza Jean Montmort, e senza il Collège de ’Pataphysique, quest’uomo eccezionale sarebbe oggi completamente dimenticato.



[1] Szahara Ricci, Costruire il vuoto: impressioni sugli Euforismi, in “Quaderno” n. 5 del Collage de ’Pataphysique, 2024, Sovere, p. 25.
[2] Alfred Jarry, Architrave, introduzione ai I Minuti di sabbia memoriale, in “Quaderno” n. 2 del Collage de ’Pataphysique, Sovere, 2012, (traduzione di T. S. Lorandi).
[3] Ruy Launoir, Clefs pour la ’Pataphysique, Paris, L’Hexaèdre, 2005.
[4] Il “Quaderno” n.15 del Collage de ’Pataphysique, dalla p. 19 alla 24, procura una densa documentazione della messa in scena avvenuta nel 1994 con regia di Milie von Bariter.
[5] Stefano Malosso, Torma e Desnos fino alla fine, in “Quaderno” n.15 del Collage de ’Pataphysique, Sovere, 2024. Le due lettere che Torma manda a Desnos fanno parte dell’articolo e sono tradotte alle pp. 15-16.


In copertina: Julien Torma nel 1931

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