Si può usare la cultura come lente per leggere, e forse capire, una vita politica? Si deve, se è l’esistenza di Rossana Rossanda, e lo sguardo è quello lucido e affettuoso che le dedica Giorgia Antonelli nel più recente dei preziosi ritratti della collana Oilà, meritorio progetto di Mondadori Electa guidato da Chiara Alessi. Senza pretesa di esautorare una voce potente e autonoma come quella di Rossanda – già tanto abile nel ritessere i fili della sua biografia da far valere, alla voce di quella Ragazza del secolo scorso, un secondo posto al Premio Strega di inizio millennio – le pagine di Antonelli hanno la devozione (senza eccessi) e la freschezza delle parole di un’allieva, di una giovane amica che ha scoperto sulla propria strada una Maestra, inconsapevole prima e prossima poi, e su di lei ha modellato la propria forma.

Nell’agile saggio dal terenziano titolo Tutto il mondo è cosa mia, di lei ricostruisce quindi non una biografia ma la traccia di un’eredità per voce di donna: «curiosa di tutto, appartenente a nessuno» (quale più felice ritratto vorremmo si desse di noi?). Come sintetizzare i suoi molti volti: partigiana, critica d’arte, redattrice, traduttrice, deputata, scrittrice, direttrice editoriale. Antonelli sceglie l’unica parola che riesce (o dovrebbe) contenerle tutte, legando la passione civile e la dedizione a trasmetterla: intellettuale. Una qualifica utilizzabile oggi con una certa fatica e utilizzata con una certa leggerezza, che pure
si attaglia come la più adatta a una donna nata dove poi si traccerà un confine, con il tedesco dei genitori mitteleuropei come lessico familiare e una libertà rivoluzionaria per l’inizio del secolo dentro cui crescere. L’esatto opposto di quella prescrittività che, per tutta la vita, rimprovererà al Partito, il PCI, che comunque sentirà suo anche quando, proprio in nome di quella libertà che l’ha nutrita bambina, ne sarà espulsa. La storia politica di Rossanda è, così come ricostruita anche in questo agile volume, un interrogativo al presente, soprattutto alla distanza ormai endemica dalla politica intesa come impegno per il bene della polis, che per l’ex partigiana dal nome di battaglia Miranda resterà il primo strumento di cambiamento in cui credeva. Non l’unico, se vi si consideri separatamente la cultura. Ma è impossibile, per Rossanda, educata al marxismo all’università da un professore che le consegna «una visione dell’arte come estetica sociale».
Per questo Rossanda, che delle politiche culturali si è occupata a lungo, nobilitando quella che, con ogni probabilità, gli uomini del partito consideravano invece una punizione, non può non considerare l’una inscindibile dall’altra, ed entrambe essenziali alla libertà. Ovvero, tuttavia, ad «essere in condizione di realizzare se stessi, e questo dipende dalle condizioni sociali, dai rapporti sociali che ci sono dati». Mettersi, come fa Antonelli, in ascolto della vita di Rossanda, significa anche immergersi in un modo di intendere la politica con uno sguardo figlio di un tempo declinato al plurale, a pensare col noi, perchè «l’io non ha nessuna valenza se non è messo al servizio del bene collettivo». Un’attitudine che l’avvicina ad altre intellettuali capitali del tempo, com l’amica Simone De Beauvoir, consciuta della Parigi che si affaccia sul maggio francese, e la allontana da alcune istanze senza le quali, tuttavia, non si può pensare Rossanda, come quelle del movimento femminista.

Il legame tra Rossanda e le donne è erede di una ragazza che ha dovuto emanciparsi da una madre colta ma affannata nel proteggerla dal reale, e nella libertà che le tramanda non contempla la cancellazione dalla donna come funzione di altri; è erede anche di una giovane donna che, sotto il regime prima e sotto i rivolgimenti della storia poi, non trova – come il mondo intorno a lei – il tempo di tematizzare l’emancipazione femminile come argomento di riflessione, occupati come sono ad essere presenti e ad agire su una realtà che corre. E tuttavia, proprio su queste premesse, dialetticamente, provocatoriamente se serve, saprà riscrivere lo spazio delle donne nella società – proprio attraverso quei mezzi culturali – la scrittura, la radio – da lei intesi soltanto come mezzi d’azione, per «essere più semplici, perchè nessuno sia in grado di non capire»: da qui vengono prima gli articoli e poi un’intera rivista – così nasce il Manifesto, nel 1970 – con cui collocarsi, in piena libertà, fuori dal Partito.
Anche il suo rapporto con il PCI infatti, si regge – come quello con il movimento femminista – sul Brechtiano «esercizio del dubbio», sull’eterodossia come postura, sulla libertà di contestazione. Che si tratti di Togliatti, cui dedica un – imperdonabile e imperdonato – coccodrillo che non lesina ombre – o del netto rifiuto della repressione nel sangue della Primavera di Praga e della dittatura stalinista. Pagine cupe che la spingeranno, nei fatti, fuori da un partito che si esige dogmatico, ma non la porteranno a rassegnarsi al tramonto di un’idea di giustizia senza ingenuità: «a una rivoluzione semplice e felice e innocente non abbiamo creduto mai».
Lo scrive col pragmatismo che la contraddistingue e ne fa – anche nel ritratto vivido di Antonelli – il tratto distintivo, insieme a una sagace ironia, che le fa sintetizzare una vita d’urgenze in una frase: «è sempre di Marx, Lenin o rivoluzione che parlano le ragazze vere» posto che occorra tutta un’esistenza per comprendere cosa sia una donna vera e riconoscerla prima in se stessa e poi le altre. Altre che, talvolta, le rimproverano di aver agito il potere alla maniera degli uomini; è ancora la sua capacità a mettere il corpo dentro l’agone che la spinge a rispondere di non potersi tirare fuori dal potere, se non attraverso un separatismo destinato a rivelarsi sterile. Non basta capire, per cambiare le cose: «la cognizione del potere non ci libera da esso, come quella del potere non ci risana». Se non c’è, allora, un solo modo femminile di cambiare la realtà, nè uno soltanto femminista, ce n’è uno per ogni biografia ed ogni eredità. E c’è, e ci chiama a raccoglierlo, il modo anfibio, multiforme di leggerlo, manipolarlo ed esercitarlo, quello singolo e potenzialmente universale di Rossana Rossanda.