26.06.2025

C’era una volta Hollywood. L’età d’oro secondo David Niven

Frammenti di memoria per ripercorrere la storia del cinema americano e raccontare dall'interno la "fabbrica dei sogni"

C’era una volta è un incipit che detta le coordinate di luoghi e tempi lontani, ma sempre incastonati nel passato. Universi magici popolati da creature mitologiche, divinità ancestrali, perfide matrigne e baldi cavalieri con destini sfavillanti quanto le loro armature. Qualcosa che c’era e non c’è più, ma di cui si custodisce un nitido ricordo col quale continuare a sognare. In altre parole, un degno ritratto dell’età d’oro di Hollywood. Certo, quel che spesso mancava nella dorata mecca del cinema era il lieto fine. Troppa immondizia da ingoiare per non finire indigesti, ma Edizioni Settecolori non poteva scegliere titolo migliore per tradurre altrimenti il più complesso Bring On The Empty Horses di David Niven, che uscito in Italia nella traduzione di Claudio Gallo si trasforma in C’era una volta Hollywood. Una scelta forse non originale ma centratissima, proprio perché la Hollywood di cui l’autore parla non esiste più da un pezzo.

L’attore britannico David Niven conosceva molto bene l’ambiente. Avendo calcato le scene per circa mezzo secolo, dal suo trasferimento a Los Angeles poco più che ventenne fino alla morte nel 1983, dedicò anima e corpo al cinema, senza sosta, se non quella presa per arruolarsi durante il secondo conflitto mondiale. Messa in questi termini, le oltre quattrocento pagine di C’era una volta Hollywood potrebbero suonare come l’autobiografia dell’attore, se non fosse che La luna è un pallone, uscito per la prima volta in Italia a metà degli anni Settanta, svolgeva esattamente questa funzione. «Quindi sarete sollevati dall’apprendere che questo non è un libro su David Niven – precisa l’autore nell’introduzione al testo. – Almeno, non vuole esserlo».

Non una biografia, non una storia di Hollywood, ma una sequenza di memorie che raccontano amici, personalità ed eventi legati a un mondo scomparso. Un volume suddiviso per temi e personaggi che accarezza la storia del cinema, dalla fondazione del Central Casting, al quale Niven si rivolse per muovere i suoi primi passi da comparsa, alla profonda amicizia con star del calibro di Clark Gable e Humphrey Bogart. L’incontro col primo dei due fu proprio la diretta conseguenza delle misere paghe ricevute come comparsa, che costringendolo Niven a prestare servizio su una barca da pesca lo condussero anche al cospetto del “Re.” Nessun dialogo rilevante su quella barca, ma la buona memoria di Gable lo portò a riconoscere Niven mesi più tardi. L’attore britannico aveva appena strappato un piccolo contratto a Samuel Goldwyn, Gable si congratulò e lo invitò a non abbandonare la pesca. Questo sport all’aria aperta divenne il colante di un’amicizia duratura, nella quale il rodato quanto disilluso Gable seppe offrire buoni consigli sulle dinamiche della spietata industria del cinema: «Non farti mai prendere a calci da loro. Spremono le persone e poi le abbandonano. Quando cominci a perdere i colpi ti mettono in un film di second’ordine per spingerti a rifiutarlo e possano così sospenderti, cancellarti dal libro paga. Sii duro con loro se arriverai in cima, perché è l’unica lingua che capiscono ed è l’unico posto in cui puoi usarla.» Un luogo crudele quanto ipocrita e codardo, come spiega il Re poco più tardi: «Sai come Lubitsch ha scoperto l’altro giorno che non era più a capo della Paramount? Dal suo maledetto massaggiatore, per l’amor di Dio! Quel tipo massaggiava i vertici dello studio e loro gli raccontavano tutto, ma nessuno aveva il coraggio di dire in faccia a Ernst che aveva chiuso».

Hollywood

La consapevolezza di David riguardo l’ambiente hollywoodiano crebbe in modo inversamente proporzionale alla fiducia che Gable alimentava per quello stesso sistema, ma Niven, in queste memorie, non si perde nel lato oscuro dell’industria, così come non indugia sugli scandali o i pettegolezzi. Ciò che gli interessa è tracciare ritratti in grado di restituire un ambiente sì spietato, ma allo stesso tempo unico e irripetibile, popolato da figure complesse, spesso tormentate, talvolta al limite della follia, ma sempre terribilmente umane. Figure che hanno sognato il cinema e che dentro quel sogno sono rimaste incastrate, dietro o davanti la cinepresa. Personaggi che quell’epoca dorata l’hanno fabbricata coi propri volti e le proprie idee, vittime di un sistema del quale erano complici consapevoli, e del quale hanno saputo plasmare le leggi.

Non erano solo i grandi produttori a dettare le regole del gioco. La stampa, nel mondo del cinema, aveva un ruolo oggi inimmaginabile. Louella Parsons e Hedda Hopper sono le due giornaliste prese in esame. Probabilmente tra le più influenti che la storia del cinema abbia mai avuto. Tanto potenti da poter affossare una star, far crollare gli incassi, distruggere una carriera. «Nessuna delle due si fermava di fronte a un piccolo cortese ricatto, coronato dall’offerta di mettere a tacere le cose. C’è un perentorio messaggio telefonico, temuto da tutti: chiamare Miss Parsons/Hopper – urgente. Ma era meglio obbedire perché almeno c’era la possibilità di evitare che venisse pubblicato qualcosa di falso o dannoso; se la telefonata non riceveva risposta la storia veniva pubblicata senza ulteriori indugi.» Non è un caso che, quando W. R. Hearst decise di affossare Quarto potere, fu la sua protetta Louella Parsons a scagliare contro Welles le accuse peggiori: dall’aver eluso le tasse trasferendosi in Europa all’aver evitato il servizio militare durate la guerra. Ciò che importava, alle due regine della carta stampata, non era la qualità delle pellicole, ma il potere di affossarle o renderle grandi.

In un mondo i cui non è facile distinguere i buoni dai cattivi, emerge così tra un profilo e l’altro la storia del cinema e dei film, dalla caccia “ai rossi” che portò alla Black List alle riflessioni sul ruolo degli sceneggiatori, dalla produzione di Via col vento alle indegne condizioni delle comparse, passando da miti appena incontrati a divinità con cui Niven condivise una porzione del proprio cammino, tra convergenze accidentali e party sontuosi. Sfilano, tra le pagine di questo libro, aneddoti e ricordi legati a Greta Garbo, Charles Chaplin, Errol Flynn, Fred Astaire e Constance Bennet. Non mancano i gradi produttori ritratti senza sconti, sui quali prevale la memoria di Samuel Goldwyn, che per primo ebbe fiducia in David e che «per le produzioni non chiese mai soldi. Qualunque fosse il costo, l’unico finanziatore di un film di Samuel Goldwyn era Samuel Goldwyn: non sono uno che le banche possono permettersi, diceva».

Allo scontroso e pungente Bogart è dedicato un capitolo che ne svela la personalità più intima, insieme alle vicende che portarono i due da una reciproca antipatia a una duratura amicizia. Del resto, «per Bogie le cose erano o bianche o nere; aveva poca pazienza con i grigi. Per valutare rapidamente le persone usava la tecnica dello shock. All’inizio di una conoscenza diceva o faceva qualcosa di completamente offensivo e la reazione dell’altro svelava a Bogie la maggior parte di ciò che voleva sapere.» La vita di Bogart si svela allora tanto simile a quella di un uomo comune: le idiosincrasie con Hollywood, la consapevolezza di quanto la fortuna giochi un ruolo fondamentale, molto più del talento, e infine il suo amore sconfinato per Betty (Lauren Bacall). Seguono, in questo squisito dipinto di un’era, parole per Jack Warner, John Huston, George Sanders e molti altri. Niven disegna ritratti talvolta in primo piano altre volte in campo lungo, ma sempre capaci di cogliere sfumature inedite che tratteggiano personaggi tanto grandi da apparire troppo spesso irreali e che qui, al contrario, si trasformano in esseri umani.

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A rendere significativa la narrazione di questi volti e delle loro personalità non è solo l’enorme passione di Niven per questo mondo, ma la sua dote, tutt’altro che scontata, di raccontare gli eventi con la finezza di un grande narratore. Un’ironia sottile e un’eleganza formale che non mancano di poesia, soprattutto quando, all’ascesa di una divinità, ne segue il declino o la fine, come nel caso di W. R. Hearst ed il suo amore per Marion Davies.

L’unico modo per ritrovare questo luogo perduto è allora affidarsi alle parole di chi, come Niven, ha saputo delinearne il percorso, oltre la nebbia in cui è svanito. Molte sono le cause che condussero al declino di questo regno incantato: l’avvento della televisione, una guerra devastante, delle leggi bigotte, il cambiamento delle preferenze del pubblico… ma prima di tutto questo, Hollywood era una tela affascinante, e ogni storico del cinema è consapevole che «non ce ne sarà mai un’altra così.» David Niven, «avendo cercato di aggiungere un po’ di luci e ombre di prima mano» non l’ha certo guastata. Al contrario, ha dato colori a un mondo giunto fino a noi, per lo più, in bianco e nero.

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